di Massimo Citi
Nakagami Kenji |
Nakagami Kenji, scomparso nel 1992, è stato un burakumin, ossia un membro della casta giapponese degli «intoccabili», tutti coloro che avevano a che fare con la morte e il sangue: macellai, conciatori, becchini. I burakumin furono riscattati alla condizione di esseri umani da quella di yotsu – la parola giapponese per «quattro», il numero di gambe degli animali – soltanto nel 1871 durante l’Era Meiji, ma la loro condizione non cominciò a migliorare se non con l’inizio del XX secolo e tuttora i loro discendenti sono mediamente meno istruiti e faticano a sposarsi al di fuori della loro casta. Per Nakagami Kenji, collega e amico di Murakami Haruki, la condizione di burakumin ha avuto un duplice effetto: spingerlo ad allontanarsi quanto prima possibile dal ghetto dove è nato fino a giungere ad affermarsi come uno dei maggiori scrittori nipponici del XX secolo, e, nel contempo, a fare di Shingu, il quartiere degli hinin (sottouomini) dove ha trascorso i primi anni della vita, il centro del suo mondo narrativo.
A Shingu è ambientato l’unico suo romanzo tradotto in italiano: Karekinada – (Il mare degli alberi morti) una vicenda intricata, cupa e rabbiosa di violenza impotente che non può che sfogarsi all’interno del ghetto che l’ha creata. E sempre a Shingu è ambientata la raccolta di racconti Mille anni di piacerepubblicata in Giappone nel 1989, tre anni prima della morte dell’autore.
A unire i protagonisti e i racconti in un «ciclo» il personaggio di zia Oryû, la levatrice di Shingu unita in un matrimonio ormai pluridecennale con il monaco Reijo-san. Protagonisti della maggior parte dei racconti i giovani avvenenti maschi del clan dei Nakamoto, generosi e appassionati ma condannati dallo loro stessa inconsueta bellezza a un oscuro destino e alla morte prematura.
«I vicoli» sono il sordido e isolato microcosmo dove i burakumindi Shingu vivono esistenze sregolate e violente e coltivano impossibili sogni di fuga e riscatto. Il mondo reale è appena oltre quel reticolo di stradine strette e fangose, ma è irraggiungibile. Per chi è nato nei Vicoli non è data altra possibilità che rimanere per sempre lì: vivacchiare di piccoli crimini e poi forse adattarsi a un lavoro pesante e faticoso, sposarsi, avere figli, morire. O forse, come Kô l’Orientale, protagonista del migliore tra i racconti dell’antologia, emigrare in Sud America e vivere una vita spezzata.
Spesso urticante, talvolta ripetitivo o melodrammatico, Mille anni di piacere dà la sensazione di un’opera troppo fortemente voluta, sospesa e indecisa tra un registro brutalmente naturalista e uno più sottile e penetrante. Un’opera fatta di intenzioni più che esiti, quasi un tentativo non riuscito di rendere omaggio a una comunità e a una vita fatta dell’immediatezza irriflessa dettata dalla necessità quotidiana di sopravvivere. Incerto tra un narrare freddamente descrittivo e una rabbiosa partecipazione emotiva Nakagami finisce a volte per smarrire equilibrio e misura, oscillando tra il fumetto erotico a tinte fosche, il racconto sentimentale, la storia di malavita e la leggenda metropolitana.
Non mancano pagine all’altezza della fama dell’autore, né frammenti narrativi di singolare potenza ma il lettore ha comunque la sensazione di un’opera incompleta e squilibrata, nata dall’impulso a raccontare «la vergogna», come lo stesso autore rivendicava, ma condotta senza la necessaria lucidità. Da lodare senza riserve, infine, l’introduzione di Antonietta Pastore che – come un tempo si faceva quasi per tutti i libri pubblicati – presenta l’autore, ne fa un rapido inquadramento critico, fornisce qualche elemento di riferimento rispetto alla letteratura alla quale appartiene e vi colloca l’opera. Davvero qualcosa di quasi dimenticato e che è bello incontrare nuovamente.
Nakagami Kenji
Mille anni di piacere
Einaudi Letture, 2007
pp. XVIII + 278, € 17,50
Trad. Antonietta Pastore