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    Interzona

    Qualcosa che ancora resti

    • di Massimo Citi
    • Gennaio 30, 2012 a 7:58 pm

    di Armando Zopolo

    C’è ancora, anche in momenti “neri” come questi, chi riflette sulla realtà e sul significato, in essa,  dell’esperienza umana. Guardare a questi temi dall’angolo visuale della filosofia, sostenere il valore della finitudine umana e il ruolo della filosofia non è sterile, soprattutto ora. Così abbiamo chiesto ad Armando Zopolo, autore di Contro l’assoluto, di fornirci  qualche spunto di riflessione.  

    Giorgione – I tre filosofi

    Nella vita abbiamo incontrato delle difficoltà con una certa frequenza; ma,forse, in nessun caso gravi come quelle che la situazione generale oggi annunzia, per cause collegate alla nota crisi economica di portata mondiale. Non sono solo gli esperti a rendersi conto che nessuno se la caverà senza danni di lunga durata. Non sono escluse complicazioni d’ordine personale più o meno collegate alla crisi. Un clima angoscioso può diffondersi con il disagio sociale. Si farà strada, probabilmente, il timore che il mondo possa cadere a pezzi per mancanza di ideali ed inosservanza di regole.
    Questo quadro pessimistico sembra possa sostituire l’illusoria sicurezza in cui le persone si erano adagiate, tra indifferenza e cinismo, senza opporsi ai mali che maturavano da tempo. Rifiutando ogni forma di fatalismo ci domandiamo se non resti ancora qualcosa da fare per combattere lo sconforto. Qualcosa di umanamente progettabile, che sia nelle nostre forze, che stia nella nostra volontà, che ci disponga a dare una mano, per rimettere in funzione l’ingranaggio dell’esistenza.
    Studiosi del costume hanno previsto la rinascita del sentimento religioso. Altri hanno creato una gamma di nuove categorie di persone che professano, ma con riserva: da quanti «credono di credere», sino agli  «atei devoti».
     Si può immaginare, insomma, che la crisi possa costituire terreno fertile per la crescita di nuovi interessi verso l’esperienza religiosa. Una posizione chiara, ma decisamente fuori dal tempo, potrebbe suggerire di interpretare la crisi come castigo divino, nei confronti del peccato umano. Sarebbe una battaglia di retroguardia. Incontrerebbe le stesse obiezioni che, per secoli hanno messo a mal partito la Teodicea.
    La Teodicea (giustificazione del male nel mondo) di Leibniz spiegava il male con le colpe dell’uomo, che ha guastato la meraviglia di armonia e felicità del mondo creato dalla divinità.
    La debolezza di questa giustificazione viene ancor più in evidenza quando la punizione colpisce degli innocenti, come i neonati, che certo non hanno potuto offendere la legge divina. E qui giunge l’interrogativo più scomodo per la divinità: è impotente di fronte alla forza del male o è falso l’atteggiamento amorevole che assume verso il genere umano? Leibniz cerca di indovinare la spiegazione divina: l’uomo, appena creato ha commesso subito una grave violazione disobbedendo a Dio, non resistendo alla tentazione del demone che gli ha offerto il frutto della conoscenza, con cui sarebbe stato grande come la stessa divinità. Il pensiero dell’uomo sa che non può discutere con la dogmatica. Ma si arrovella sulle centinaia di migliaia di morti dei famosi terremoti di Lisbona e di Messina. Quanti neonati innocenti  saranno morti in quelle sciagure? Chi aveva bisogno della loro sofferenza? Leibniz è già pronto per la risposta che, questa volta, non ammette repliche: – Questo, creato da Dio, è il migliore dei mondi possibili. Nella sua perfezione, infatti, Dio non avrebbe mai potuto crearne uno migliore.

    Friedrich – Le fasi della vita

    Il dogma religioso si regge su principi che ricorrono nelle argomentazioni della teologia:  
    – Dio è l’essere per eccellenza, originariamente dotato di ogni perfezione: totalità, onniscienza, onnipotenza ed infinite altre prerogative assolute. La teologia negativa ha evitato l’elencazione troppo lunga, con un concetto residuale: non vi sono prerogative che manchino alla perfezione di Dio.
    – L’uomo è un essere caratterizzato dalla finitudine, creato da Dio per amore, non per necessità. Il limite proprio della sua natura non gli consente di raggiungere la conoscenza  assoluta.
    – Alla mente umana che si renda conto di non poter procedere con le sue sole forze, per condividere una conoscenza d’ordine superiore, non resta che il «salto» nella fede. Un balzo che, dal terreno della logica umana, consente di raggiungere l’ineffabile regione dello spirito, ove tutto è chiaro all’Assoluto Creatore  e per sua intercessione ai fedeli.Contro l’assoluto, il mio libro più recente, discute diversi argomenti d’attualità.
    Nel rispetto del pensiero «diverso», di altre concezioni della realtà, espone interpretazioni autonome rispetto al pensiero unico. L’orientamento critico delle argomentazioni cerca di presentare il limite dei luoghi comuni, considera il rilievo che assume nella persona l’aspettativa della felicità, offre la segnalazione delle distorsioni abituali di parole abusate, da laico a clericale, da assoluto a relativismo.
    Il concetto di assoluto, in se stesso, costituisce una aporia. Se assoluto vuol dire il tutto, al tempo 1, come  è confermabile il suo significato al tempo 2, se nell’intervallo il divenire ha mutato la realtà anche con il concorso dell’opera dell’uomo? La conservazione dei caratteri dell’assoluto, presenti nell’essere immutabile quanto rassicurante, non può essere affidata  se non al pensiero epistemico:

    Questo pensiero acritico è l’emblema della stabilità ideologica, religiosa, del culto dello statu quo ed è rassegnato alla rinunzia della libertà di giudizio, nel nome della verità che è già nota e certa, secondo la rivelazione. È precisamente questo l’essere in cui la filosofia futura non potrà più credere. (Da: Contro l’assoluto, p. 15).
     
    Forse è il caso di rivedere anche il luogo comune dell’assolutezza del divino a fronte della finitudine umana:
     
    Dovrebbero cessare i discorsi sulla finitudine umana, i piagnistei sulla fragilità dell’uomo. L’uomo che combatte il timore della morte e ricerca la conoscenza del vero non è da compiangere quasi fosse un ente dimezzato: ha l’infinito compito della ricerca dinanzi a sé. (Da: Contro l’assoluto, p. 192).

    Gottflried Wilhelm Leibniz

    Stiamo tornando al tema della crisi mondiale in atto. Di fronte a prospettive disperate si può comprendere il tentativo umano di rivolgersi a potenze superiori. Ma, con ciò, non si dica che l’uomo è inconsistenza. È anche forza. La filosofia sia meno «ingessata», una volta tanto. Non sdegni l’appellativo di «filosofia consolatoria».
    Compito della filosofia morale non può essere esclusivamente quello di mostrare la logica che sovrintende alle sanzioni comminate contro comportamenti individuati come peccaminosi. Deve anche prevedere l’erogazione di premi per atti coronati da virtù. La filosofia che non riconoscesse il proprio compito di soccorrere l’uomo con la parola della ragione, non giustificherebbe il suo ruolo di scienza tra le scienze.

    Armando Zopolo

    Contro l’assoluto
    Progetto Cultura
    LiberaMente, 2010, pp. 240, € 15,00

    e-book: € 6,99
     

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