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    Golem

    Confessioni di un biofilo

    • di Enrico Barbero
    • Luglio 10, 2012 a 3:41 pm

    di Enrico Barbero


    Edward Wilson è un personaggio molto conosciuto nel mondo della biologia contemporanea, e non solo tra gli specialisti, per molte ragioni. In primo luogo è un entomologo importante, specialista nello studio degli insetti sociali e in particolare delle formiche. È uno dei fondatori della sociobiologia, che al di là dei giudizi di merito, costituisce un corpus di idee estremamente stimolante e che ha contribuito a vivacizzare il dibattito teorico nella biologia degli ultimi vent’anni. Poi è un conservazionista impegnato e progressista ed è stato ad esempio tra i dirigenti del WWF statunitense per lunghi anni. È inoltre un ottimo divulgatore, nella migliore tradizione angloamericana recente di scienziati «scrittori» che sanno comunicare idee importanti senza rinunciare ad affascinare il lettore. Infine, last but not least, Wilson è affetto da quel particolare malanno, noto come biofilia, che lo spinge inesorabilmente, come lui stesso confessa, a interessarsi di tutti gli aspetti della vita con insaziabile curiosità e che gli procura una sorta di profonda empatia positiva nei confronti di ogni forma vivente.
    Tale biofilia è palpabile, vivissima, soprattutto nel primo capitolo del libro, dove Wilson ci conduce a guardare una vita stupefacente nelle sue manifestazioni di forza. Dai batteri che vivono praticamente in ogni condizione, anche la più proibitiva, alla incontenibile moltitudine di organismi che popola un’area di foresta pluviale, il capitolo è un inno all’esistenza degli esseri viventi sul nostro pianeta.
    Subito dopo però il quadro si fa fosco: questa biodiversità spumeggiante, questo arcobaleno di invenzioni evolutive, di forme e di stili di vita, rischia oggi il collasso. L’impatto dell’uomo sulla vita è indiscutibilmente pesantissimo, pochi s’azzardano a negarlo; tutt’al più il dibattito si può spostare, e il libro si snoda appunto lungo questa trama, su quanto ciò sia inevitabile e quanto sia in fin dei conti vantaggioso o meno per l’uomo stesso.

    Wilson non è evidentemente un estremista; al contrario è un uomo di scienza che pur nutrendo una fortissima spinta «sentimentale» verso il problema della conservazione della vita sulla Terra, non si nega (e non nasconde agli altri) il carattere estremamente complesso della questione. Il suo desiderio è quello di proporre soluzioni gestibili ed efficaci e per far ciò sa che bisogna essere lucidi. Perciò, a un quadro estremamente preoccupante della realtà dei processi di estinzione delle specie e di depauperazione degli ecosistemi, Wilson fa seguire alcuni capitoli che comunicano un atteggiamento di fiducia, ancor più e ancor prima che di speranza, nelle possibilità oggettive di invertire la rotta. Da un lato egli individua i segni (un lieve diminuzione della crescita demografica, una crescente maturità delle grandi organizzazioni protezionistiche, un’aumentata sensibilità al problema anche da parte di chi per decenni non se ne è per nulla curato) pur flebili di cambiamento. Dall’altro lato Wilson sottolinea con forza la compatibilità della vita non umana sul pianeta con la nostra esistenza. Tutta la parte centrale del volume è dedicata a dimostrare che la vita non umana sul pianeta ci è necessaria, che non è un semplice lusso cui si possa rinunciare a vantaggio di qualche altra soluzione.
    Il nostro autore sa benissimo d’altro canto che a una maggioranza di esseri umani attanagliati per la maggior parte dal problema di sbarcare il lunario o, in misura molto minore, immersi nel lusso un po’ obnubilante del consumismo, e in tutti i casi del tutto estranei alla sofferenza della biodiversità, non si può proporre semplicemente un’etica ambientale fondamentalista. Bisogna che la difesa della biodiversità si riveli distintamente un vantaggio strategico per la specie umana e per l’economia della nostra società. Bisogna che l’affaire esca dalle conventicole dei conservazionisti (cui peraltro Wilson ribadisce il suo appoggio) e divenga una questione di massa. Ad esempio, dice Wilson, coinvolgendo le grandi religioni. Oppure i grandi sistemi produttivi che possono investire denaro nella conservazione della diversità biologica ottenendone vantaggi economici a lungo termine.

    Wilson è sicuramente un ottimista, un po’ all’americana per intenderci. Certamente è più ottimista di chi scrive queste righe che non riesce a condividere sic et simpliciter questa visione della realtà. Però è un uomo di coraggio se, in un libro in fondo moderato e prudente, arriva a sostenere che l’obiettivo strategico del movimento conservazionista deve essere quello di lasciare il 50 per cento del pianeta alla vita selvaggia. Visto in questa prospettiva il ragionamento di Wilson è impegnativo e accattivante, nonostante lo stile un po’ american way of life lo renda non sempre immediato per il lettore europeo, anche, forse soprattutto, per coloro che ne condividono l’anelito di fondo.

    Edward O. Wilson
    Il futuro della vita
    Codice edizioni, 2004, 2008, ed. or. 2003, 
    pp. 254, € 22,00
    trad. Simonetta Frediani 

    Qui  indice e prime pagine del volume. 

    da LN-LibriNuovi n. 33 – primavera 2005

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    Tag: biologiaconservazionismoistantaneeRecensioni

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