Storia di un viaggio nel passato effettuato mille volte in sogno prima che nella realtà , Il Tempo è il Solo Nemico è insieme un’attenta ricostruzione paleoantropologica, una narrazione serrata e un’esplorazione piena di pudore dei significati più profondi dell’affinità, della tenerezza, dell’amore.
Joshua Kampa, ragazzo difficile, sogna da sempre un mondo preistorico, lontano milioni di anni e abitato da ominidi preumani. Anni dopo, arruolato dall’Air Force in un progetto segreto riguardante i viaggi nel tempo, può finalmente raggiungere di persona il luogo in cui torna quasi ogni notte. Vi trascorre un lungo periodo spartendo cibo e fatica con una tribù di Homo habilis, stabilendo un profondo rapporto di consonanza con una femmina abilina che chiama Helen…
Come tutte le opere di Bishop, il romanzo è scritto con molta padronanza, ha ritmo e cadenze giuste, offre una descrizione accurata e scientificamente valida della vita degli abilini nel pleistocene, e del luogo nel quale Joshua e Helen vivono fianco a fianco: un probabile Kenia dell’epoca. Ma, lasciando da parte questi pregi, l’incontro tra un Sapiens sapiens del presente e una vera aliena, remota nel tempo e nella mente, può diventare una vera storia?
Sì. Almeno se è Bishop a scriverla. Ho conosciuto quest’autore grazie alla prima serie di «Robot», l’eroica fanzine degli anni Settanta. Ne La Casa dei Compassionevoli – un racconto struggente e oggi irrecuperabile – l’autore si accostava con delicatezza ai temi della comunicazione, della capacità di immedesimarsi con ‘altro e dell’empatia. Proprio i medesimi temi di Il Tempo è il Solo Nemico.
Il legame profondo che si stabilisce tra Joshua e Helen è difficile da definire, forse ci mancano le parole per farlo, perché cio che chiamiamo amore è possibile soltanto fra senzienti che condividono la realtà in maniera paritaria. Eppure l’umano e la ominide – che tali rimangono per tutto il romanzo, senza che mai Bishop stravolga la loro reciproca natura – imparano a conoscersi e lentamente tessono una rete di emozioni, una consonanza che trascende l’impossibilità di parlarsi e di spiegarsi. Una sorta di incantesimo reciproco, non più improbabile, a ben pensarci, di quello che avviene fra due umani di oggi.
Il romanzo è una riflessione profonda sull’origine dell’umanità e sul possibile incontro tra due specie Homo differenti. In seguito, diversi autori hanno scritto sulla (im)possibile convivenza tra specie umane diverse, (Sawyer, tanto per fare un nome famoso) ma negli anni Ottanta del secolo scorso il tema e soprattutto il suo sviluppo, erano decisamente originali. Così il romanzo fu molto apprezzato dalla critica e vinse il Nebula Award nel 1982.
Riletto oggi, Il tempo è il solo nemico ha senz’altro ancora molto da dirci e da chiederci… A me, che già lo conoscevo, ha suscitato altre domande, adeguate ai tempi in cui viviamo. Una per tutte: se ci sembra coinvolgente, emozionante, possibile, l’incontro di carta tra due Homo divisi dal tempo, dall’evoluzione, dalle esperienze, dalle peculiari limitazioni fisiche e mentali, com’è che noi Sapiens, solo perché abbiamo alle spalle poche differenze fisiche e una cultura differente, non riusciamo ad ammettere la nostra medesima umanità in altri Sapiens che vengono da lontano – o che vivono al nostro fianco con religioni o etnie diverse, durante una guerra civile?
Da leggere e regalare a gente che non ci piace: la letteratura non fa miracoli, ma le belle storie sono sempre gradite. E sono meglio di un predicozzo sterile e supponente.
Michael Bishop, Il Tempo è il solo Nemico, Nord sf Narrativa d’anticipazione 1984, Cosmo 1997 [ed. orig. 1981], pp. 346, trad. R. Rambelli
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