Michele Mari è un autore colto, bizzarro, funambolico e altamente mimetico che ha attraversato non abbastanza notato (immeritatamente) il mondo letterario italiano. Dopo una prima pubblicazione con Bompiani nel 1993 e la ripubblicazione in Einaudi nel 2004 Euridice aveva un cane, la sua prima antologia, è stato nuovamente pubblicato nel 2016 sempre da Einaudi nella collana ET Scrittori,
Dal numero di aggettivi impiegati nella frase in apertura di questa recensione avrete già supposto quantomeno un certo interesse interesse di chi scrive per l’opera di Mari. Nella brevità del racconto la valentìa dell’autore ha modo di esprimersi in maniera più netta, creando situazioni, fatti, personaggi che trascorrono dal comico, al grottesco, al sardonico, rivelando tuttavia in qualche angolo della narrazione una sensibilità non comune e una punta di sottile, impalpabile malinconia. Mari ha l’abitudine di camuffare i temi a lui cari, le comiche ossessioni dei suoi personaggi, la realtà quotidianamente idiota nella quale sopravvivono, con l’uso di una lingua ricca di inflessioni ottocentesche e di termini desueti o tipicamente in uso nelle letture scolastiche del dopoguerra. Il contrasto che si crea tra lingua ed evento in questo caso è ricco di sviluppi, di possibilità e crea un effetto di straniamento che permette all’autore di inserire nel gioco narrativo anche le situazioni e i temi più grotteschi rendendoli lievi, quasi incorporei.
Memorabile, a mio parere, il racconto Tutto il dolore del mondo, un’appassionata vendetta letteraria contro tutti coloro che, immersi nella propria quotidiana accidia, neppure si avvedono di dolori, sofferenze e della stessa morte, pur se apparentemente trascurabile come quella di un pesce.
In un racconto di fantascienza scritto negli anni ‘50 da Paul Linebarger – Cordwainer Smith, per utilizzare il suo pseudonimo per la sf –, racconto divenuto temo ormai irreperibile, era presente lo stesso tema ma rovesciato, narrando di un una civiltà nella quale sia divenuta inconcepibile la sofferenza anche solo di un cavallo… Lo stessa tema affrontato da Ursula K.LeGuin nel suo racconto Quelli che se ne vanno da Omelas, dove una società stabile e felice scopre di sopravvivere grazie alla sofferenza di un solo individuo.

Michele Mari
Ciò parrebbe molto lontano dal tema iniziale e dalla situazione italiana, lo concedo volentieri, ma credo che uno dei maggiori divertimenti della lettura stia proprio in questo esercizio di rimandi e di riletture, in questo ampio spettro di narrazioni che talvolta raccontano la medesima storia sia pure con parole diverse, sottolineando l’importanza e il valore di alcuni temi e suscitando riflessioni, dubbi, ricordi.
Sul senso e il valore dell’antologia di Michele Mari rinvio ad altre due recensioni, altrettanto meritevoli di lettura e scelte tra le molte che sono uscite in occasione della ristampa del libro di Mari.
da Le parole e le cose:
http://www.leparoleelecose.it/?p=22010
e da Nazione Indiana:
https://www.nazioneindiana.com/2016/02/04/euridice-aveva-un-cane/
Michele Mari, Euridice aveva un cane, Einaudi, ET Scrittori [2016], pp. 132, € 10,00
Idem in e-book [2010], € 6,99
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