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    Inseguimento di Patricia Highsmith

    • di Silvia Treves
    • ottobre 26, 2017 a 6:57 pm

    Patricia Highsmith, nom de plume di Mary Patricia Plangman (1921-1995), è stata una famosa autrice di thriller psicologici. Nell’Inseguimento (1967), due uomini, e con essi tutte le loro conoscenze più o meno occasionali, sono coinvolti nel legame distruttivo involontariamente creato dalla giovane Peggy, figlia di uno di loro (Edward) e moglie dell’altro (Ray). La ragazza si suicida prima che il romanzo abbia inizio, ma il conflitto fra i due uomini, fatto di odio e fascinazione, darà vita a un inseguimento che ha per scenario Venezia, un gioco crudele tra vittima e preda, nel quale i due si scambiano i ruoli, si inseguono e cercano di uccidersi, coinvolgendo molti personaggi secondari. Il thriller non è, e non vuole essere, tale: nessuno muore nelle pagine del romanzo, nessuno cambia veramente.

    Inseguimento appartiene agli anni Sessanta, un periodo molto prolifico e sperimentale per l’autrice che, in quel decennio pubblicò romanzi come Quella dolce follia, storia claustrofobica di uno stalker raccontata esclusivamente dal suo punto di vista e Il grido della civetta, ritratto di un guardone; tre romanzi di quegli anni, però, si allontanarono dalla semplice narrativa suspense per diventare veri e propri romanzi psicologici: Senza pietà, un romanzo senza omicidio, La spiaggia del dubbio, superbo studio del personaggio di uno scrittore che vive lontano dalla patria interrogandosi sul significato della propria esistenza, e Inseguimento, incentrato sul legame contorto fra due uomini.

    Highsmith aveva trattato questo tema già in altri romanzi, come Sconosciuti in treno, Il talento di Mr. Ripley e I due volti di gennaio (1964); in seguito lo esplorò altre volte. Le peculiarità dell’Inseguimento sono due; la prima è aver sospinto il suicidio di Peggy, ragione dell’odio fra i due uomini, fuori scena, al di là della vista dei lettori, una novità nella narrativa di Highsmith; L’altra è che – nonostante il romanzo si snodi intorno al gioco del gatto col topo fra il giovane gallerista Ray Garrett e il suo grezzissimo suocero Ed Coleman – Highsmith sovverta e frustri continuamente le aspettative di chi legge. Molte parti della vicenda paiono scritte per mettere alla prova la nostra pazienza: chiacchiere vuote durante un’infinità di cene, descrizioni turistiche, incontri con buoni italiani disponibili ad aiutare il fuggiasco Ray, conoscenti americani di Coleman convenzionali e uggiosi come la pioggia. Il rapporto sotterraneo fra i due uomini è peò tutt’altra cosa: scontri violenti, tentativi di omicidio, l’incomprensibile ostinazione della vittima Ray a continuare il gioco senza denunciare il suocero pazzoide alla polizia veneziana. I due, in un modo o nell’altro, non si perdono mai di vista: Ray provoca Ed, comparendogli davanti quando ormai l’altro è convinto di essersi liberato di lui, e Coleman non dà mai l’affondo conclusivo, il suicidio recente e raccapricciante della rispettiva moglie e figlia è un peso che nessuno dei due può sopportare.

    I temi interiori che scorrono fra le righe del romanzo hanno a che fare con l’identità e con il doppio e compaiono anche in altri romanzi dell’autrice. Qui però sono portati all’estremo: Ray, a un certo punto, decide di vivere alcuni giorni sotto falso nome, illudendo Ed di essersi liberato di lui. Apparentemente lo fa per proteggersi, ma nel lettore nasce il dubbio che, per il giovane vedovo, rinunciare alla propria identità sia un modo per deporre un fardello troppo pesante ed evitare di interrogarsi sul rapporto fallito con la moglie. D’altra parte, questa sua seconda vita gli consente di comparire e sparire davanti a Coleman continuando a tormentarlo.

    Inseguimento è un romanzo affascinante per chi già conosce l’autrice e può scorgerne i legami con altre opere precedenti e successive. Per il lettore che le si avvicina per la prima volta potrebbe risultare deludente: in fondo l’opera si propone come thriller ma non vi è nessun colpevole da scoprire, il peggio è già accaduto, non tanto il suicidio di Peggy, quanto il fatto che i due uomini della sua vita non provino mai a parlare davvero, per tentare di comprendere la sua infelicità e il proprio diverso fallimento.

    Patricia Highsmith

    La prosa lucida e l’abile uso della suspense della Highsmith, l’esplorazione minuziosa dell’inconscio e dell’irrazionale, sono ottime ragioni per leggere il romanzo; alcuni difetti, comunque , non sono di poco conto. Il primo è l’eccessiva responsabilità che l’autrice assegna a noi lettori: di Peggy sappiamo troppo poco, forse era una signorina viziata e immatura, forse era una vittima intrappolata fra un padre geloso e un marito ragazzino; di Ray, che suscita subito la diffidenza di un lettore scafato, l’autrice non dice mai abbastanza: è un egocentrico troppo furbo o un ingenuo accalappiato dalla ragazza? E Coleman? È un egoista squilibrato, un assassino potenziale, o un padre infelice? Il lettore non deve giudicare, semmai fare delle ipotesi e riflettere sulla vicenda, ma questa volta Highsmith è stata una narratrice troppo avara.

    L’altro “difetto”, è la descrizione degli italiani, veneziani, che Ray e Coleman incontrano e usano per continuare il loro gioco. Per chi li abbia vissuti o almeno ne abbia letto o sentito raccontare, gli italiani di quegli anni erano un po’ meno oleografici di quelli dipinti dall’autrice: nel 1967 in Italia si discusse per la prima volta una proposta di legge sul divorzio, scoppiò lo scandalo SIFAR, le donne combattevano per la loro emancipazione, a Torino gli studenti occuparono Palazzo Campana per tre settimane e di lì la lotta studentesca dilagò nel Paese, vi furono grandi manifestazioni contro i bombardamenti in Vietnam, Luigi Tenco si suicidò durante il festival di Sanremo… Certo, avvenimenti simili si verificarono in tanti altri Paesi. Ciò che stride un po’, nel racconto della Highsmith, è che i «suoi»Italiani siano sempre semplicemente buoni, ottimisti e di poco spessore. Intendiamoci, non mi lamento del ritratto generoso che Highsmith fa dei miei compatrioti. Ci credo poco, ecco. Ma forse faccio male. Razzismo, diffidenza, avidità e meschinità possono convivere con la generosità più strampalata. In fondo noi siamo gli «Italiani brava gente».

    In conclusione, Inseguimento vale una lettura?

    Sì. Stiamo parlando di Patricia Highsmith, una scrittrice coraggiosa che ebbe il fegato di inventare protagonisti privi di empatia: amorali, pazzi, depressi e spesso tutto questo insieme; è colei che Graham Greene definì «poeta dell’apprensione». Nei suoi romanzi l’azione è spesso un loop privo di senno: le vittime si trasformano in stalker, gli stalker in vittime, gli inseguitori in inseguiti e la violenza è spesso maldestra, proprio come nella vita reale.

    Patricia Highsmith, Inseguimento, Bompiani tascabili 2001, pp. 239, € 10,00, trad. A. Veraldi

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    Tag: istantaneenarrativa statunitensePatricia HighsmithRecensioniThriller

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