Grottesco, di Patrick McGrath è stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 2000, ma fu edito in lingua originale nel 1989, precedendo sia Follia che Il Morbo di Haggard (entrambi Adelphi). È un romanzo ipnotico, neogotico nelle atmosfere e nell’andamento inesorabile della vicenda, nell’inaffidabilità del narratore, nella latente ossessione sessuale che lo pervade. Tutte caratteristiche cui l’autore ci aveva già abituato nei romanzi (successivi nella sua produzione) precedenti. L’elemento nuovo è, semmai, l’umorismo nero e stralunato, la lente «grottesca» attraverso cui sir Hugo Coal, ridotto ad una vita semivegetativa dopo un infarto, guarda il mondo. È proprio sir Hugo, paleontologo dilettante, misantropo colto e pieno di manie, che trascorreva tutto il suo tempo a ricostruire lo scheletro del dinosauro fossile rinvenuto in Africa venticinque anni prima, nel 1949, a raccontare a se stesso, ora che non riesce più nemmeno a parlare, le vicende degli ultimi mesi e le circostanze che l’hanno inchiodato per sempre sulla sedia a rotelle:
«Chiuso nel mio bozzolo di ossa, mi trasformo in pupa dietro uno sguardo vacuo somigliante a quello di una lucertola, dentro un corpo lentamente consumato dal suo stesso metabolismo […] Quanto al destino, sono giunto alla conclusione che il mio sia quello d’ essere grottesco. Sì, perché non è forse grottesco un uomo tramutato in vegetale?».
Anima nera della famiglia è, secondo Hugo, Fledge, il maggiordomo bello e arrogante che, approfittando della sua malattia, sta soppiantandolo nella direzione della tenuta e nel cuore della moglie. Mentre Fledge e Harriet vivono la loro passione senza farne mistero, certi che Hugo sia ormai inconsapevole e che Doris, la moglie alcoolista di Fledge, non si ribellerà, il marito ingannato li osserva e racconta. La voce muta di Hugo rievoca per il lettore storie di ordinaria aristocrazia decaduta e impoverita, ambizioni accademiche, strampalate ossessioni, come quella di invitare alla propria tavola il rospo Herbert, e di sfamarlo davanti ai familiari rassegnati e agli ospiti che nascondono garbatamente il disgusto, arroganza di casta, indifferenza, incapacità di provare sentimenti se non nella forma superficiale della familiarità virile con alcuni dipendenti. Che la visione del mondo di sir Hugo non sia obiettiva, che il suo punto di vista sia fortemente fazioso, il lettore comincia a sospettarlo lentamente, irretito com’è nella ragnatela della sua voce razionale e pacata, della sua ironia, del suo paziente disprezzo verso i propri simili. Il sospetto lo accompagna, pagina dopo pagina, e non diviene certezza nemmeno alla fine, quando la fedeltà a sir Hugo (o forse la testardaggine, secondo il nobile) trascina un suo dipendente alla rovina. Cattivo nel senso migliore del termine, privo di personaggi degni di rispetto, eppure terribilmente umani, Grottesco è una grande prova di autore, condotta senza sforzo apparente, sempre lucida, disseminata di dettagli rivelatori e pungenti, come questa considerazione di sir Hugo che – spiando indebitamente il proprio maggiordomo – lo sorprende (forse) in intimità col fidanzato della figlia:
«Il fatto è che, mentre cadevo per terra, mi pare di aver scorto Sidney abbracciare Fledge e baciarlo: sì, perdio, il mio maggiordomo fra le braccia di quello smidollato!».
Patrick McGrath, Grottesco, Adelphi coll. Gli Adelphi, 2003, pp. 213, € 11,00, trad. Claudia Valeria Letizia
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