Il romanzo si snoda attorno alla figura del campione del mondo di scacchi Aleksandr Aleksandrovic Alekhine, morto nell’aprile del 1946 nella sua camera d’albergo a Escoril, località balneare del Portogallo. Il corpo del grande e controverso scacchista, nato a Mosca nel 1892, fu trovato adagiato in poltrona, con indosso un cappotto decisamente eccessivo per il mese di aprile, davanti a un tavolino ingombro di cibo e della solita scacchiera che Alekhine studiava ossessivamente in quei giorni, preparandosi a tornare da campione nel mondo degli scacchi dopo un periodo di declino dovuto all’alcool.
Il verdetto, morte per soffocamento causato da un boccone di carne, non convinse i molti che consideravano Alekhine al centro di trame complesse: traditore secondo i sovietici, antisemita e collaborazionista secondo i francesi.
Mauresing fa riemergere in efficaci flashback il passato discutibile dello scacchista: il meritato titolo di Campione di Russia nel 1920, la nomina a giudice istruttore della polizia criminale di Mosca, l’arresto per simpatie controrivoluzionarie e, forse, la condanna a morte per spionaggio evitata grazie all’intervento di Trotsky. Devoto agli scacchi fino a farne l’unica ragione di vita, Alekhine su ogni altro piano ebbe comportamenti molto discutibili: i suoi matrimoni furono strettamente legati al denaro; non fece mai mistero delle proprie radicate convinzioni antisemite, anche in anni ancora ben lontani dal nazismo, con il quale intrattenne rapporti di convenienza e opportunismo. Nel 1941 scrisse dalla Parigi occupata sul «Pariser Zeitung», alcuni articoli dai titoli rivelatori come Scacchi giudei ed ariani e Il concetto ariano di attacco. La sua lunga frequentazione di Hans Frank, il governatore della Polonia, gli valse l’accusa di collaborazionismo e l’esclusione dal torneo di Londra del 1946.
Anche nel romanzo, come nella realtà, ad Alekhine viene rinfacciato di aver giocato «in prima scacchiera sotto l’ombra della svastica» e, come effettivamente fece, lo scacchista si giustifica così: «Sappia che per salvarsi la vita a volte si è costretti a scendere a compromessi, indossando i panni stessi del nemico». Nella interpretazione di Mauresing Alekhine fa di più e di peggio per un artista come lui:
«continuava a restare lì [ospite di Frank, a sua volta appassionato di scacchi], a casa del mecenate, si compiaceva di appartenere alla sua corte, mangiava il suo cibo, beveva la sua birra, rideva alle sue battute e, a scacchi, cercava di giocare sottotono, tenendo a freno la propria aggressività: spesso si accontentava di pattare, poiché Frank non tollerava di perdere, neppure con lui che era il campione del mondo.»
Nel romanzo, la ricostruzione degli ultimi giorni di Alekhine, l’esaltazione per il ritorno alla ribalta scacchistica e il timore di non farcela si intrecciano a lunghe riflessioni sul passato, domande sul proprio opportunismo e sulla propria incapacità di provare sentimenti duraturi verso le donne divenute sue mogli e poi lasciate senza rimpianti. Le ombre e i fantasmi lo accompagnano nelle lunghe notti trascorse a studiare le mosse degli avversari da affrontare, lo inseguono nei sogni fino a diventare indistinguibili dalla realtà. Il corpo che ha così spesso strapazzato sembra venirgli meno proprio ora che di nuovo i giornalisti lo cercano, nell’imminenza di un nuovo incontro.
Le ultime, confuse e mai chiarite circostanze della morte vengono – come l’incipit del romanzo – narrate in prima persona dall’autore, insieme alle proprie ipotesi e ad alcune testimonianze raccolte.

Paolo Maurensig
Ossessionato dagli scacchi come il suo portagonista, Mauresing torna dopo La variante di Luneburg a immergersi, e noi con lui, nel mondo crudele ed esaltante degli scacchi, dove l’arte e la metafora della vita si confondono. La fredda passione dell’autore è abilmente tenuta al guinzaglio da uno stile che è quasi impossibile non definire «adelphiano», gli incubi di Alekhine sono così perfetti da diventare il filtro a un eccessivo coinvolgimento del lettore. Tuttavia, il protagonista – che probabilmente ha sempre vissuto recitando la parte di se stesso – è un soggetto di indagine davvero interessante, e il grande albergo ancora vuoto, in attesa di immergersi nella banalità elegante della stagione balneare, le spiagge già tiepide ma ancora velate dal freddo notturno sono un bello scenario per la lettura.
Cercando notizie di prima mano su Alekhine e sulle sue partite, ho scovato una minuscola chicca che, da inesausta adepta di Sherlock Holmes, vi segnalo. Non è un racconto, purtroppo, solo una brevissima riflessione, frutto ipotetico dello spirito di osservazione di Holmes, a firma Mario Leoncini. Comincia così:
“Che cosa sta leggendo Watson?” mi chiese una volta Holmes vedendomi assorto nella lettura di un libro.
“Noto che c’è una fotografia, posso vederla?”.
“Certamente” gli dissi. “È una foto drammatica, scattata la mattina del 25 aprile 1946. Ritrae il campione del mondo Alexander Alekhine morto”…
Potete continuare la lettura qui http://www.sherlockmagazine.it/2502/due-vite-quasi-parallele
Comunque, se oltre ad amare gli scacchi amate i romanzi di genere, potreste consolarvi leggendo l’indagine di un altro grande detective, Nero Wolfe: Scacco al re per Nero Wolfe (discutibile traduzione del titolo scelto da Rex Stout: Gambit)
Inutile dire che nemmeno il grande Nero ha mai indagato sulla morte di Alekhine.
Walter Tevis, per chi non lo ricordasse, è l’autore de L’uomo che cadde sulla Terra, romanzo di sf di notevole intelligenza, spessore e impegno, che lessi molti anni fa e che tuttora ritorna nel ricordo con una punta di dolore per la sorte di Mr. T.J.Newton, unico disperato alieno su un pianeta spietato come la Terra. E Tevis è anche l’autore de La regina degli scacchi, (titolo originale The Queen’s Gambit, [Il gambitto di regina]) –, romanzo non di genere, nato, si suppone, sia per la passione verso il gioco degli scacchi che per l’esperienza – assolutamente autobiografica – del rapporto di dipendenza con i tranquillanti.
Beth Harmon, protagonista del libro, all’apertura del libro è una bambina che sopravvive come può in un orfanotrofio dove è abituale l’uso di psicofarmaci per mantenere tranquilli i bambini. Beth non può letteralmente sopravvivere se privata di tranquillanti e non ha una vita sociale particolarmente rilevante, se si esclude la coloured Jolene, amica sincera ma non di carattere facile. Nel corso di una spedizione nel magazzino per conto della sua insegnante trova il custode impegnato in una curiosa partita con se stesso, una partita a scacchi. Il custode, da vero appassionato, insegna tutto ciò che sa alla giovane Beth che si rivela un’alunna molto dotata, tanto che ben presto si troverà impegnata in partite e tornei, nonostante il boicottaggio della direttrice della sua scuola.
Adottata da una coppia – la cui metà maschile presto se ne andrà per conto proprio – Beth si troverà ben presto libera di giocare. Non solo, la sua matrigna, una donna candida e ingenua, finirà per divenire una delle sue tifose. Il talento di Beth fiorisce, diventa presto la più giovane maestra di scacchi americana, vince il titolo nazionale fino a incontrarsi con i grandi maestri mondiali.
Ma la sua crescita ha un prezzo: Beth è comunque sempre una ragazza sola, una particolare varietà di autistica incapace di vivere a lungo senza doversi rifugiare nel rapporto con gli psicofarmaci e i suoi rapporti con l’altro sesso sono casuali, improntati e determinati dal comune rapporto con gli scacchi.
Strano a dirsi ma sono proprio le partite a scacchi a fornire ritmo al romanzo, a raccontarci molto da vicino qual è lo stato d’animo e le procedure – tanto umorali quanto raffinatamente cerebrali – di chi si misura (e misura se stesso) in un gioco antichissimo e più crudele di un duello.

Walter Tevis
Beth non vuole abbandonare gli scacchi e con essi il suo unico e miracoloso talento e il lettore non può che schierarsi con lei nonostante il suo essere una femmina distratta e immatura e, in non pochi momenti, una bambina insensibile, impasticcata e disperata. E con lei si schiera anche l’autore di questo affascinante e curioso romanzo che vede tra i protagonisti anche i 32 pezzi della scacchiera. Da non perdere.
Quanto all’essere assi della scacchiera per poterne godere, posso tranquillizzarvi: ho imparato a giocare a scacchi abbastanza per sconfiggere più volte mio padre in giovane età, poi, una volta compiuto tale cerimonia di sapore freudiano, ho finito per dimenticarmi dell’esistenza degli scacchi. Anche se ne ammetto il sinistro e profondo fascino.
Paolo Maurensig, Teoria delle ombre, Adelphi, 2015, pp. 200. € 18.00
Walter Tevis, La regina degli scacchi, BEAT 129, 2014 (ed. or. 1983), pp. 322, € 9,00, trad. Angelica Cecchi
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