La fine del mondo e il paese della meraviglie, di Murakami Haruki, appena ripubblicato in edizione economica (Baldini & Castoldi, trad. di Antonietta Pastore) è un testo del 1985. Se avete sottomano il numero 21 di LN potrete agevolmente constatare che cronologicamente è uno dei primi romanzi dell’autore giapponese. Questo può forse spiegare perché si tratta di un testo almeno in parte anomalo, nato da uno spunto che verrebbe da definire (come è stato definito) «fantascientifico».
Protagonista un «cibermatico», ovvero un addetto alla cifratura e alla secretazione di dati riservati. I cibermatici fanno capo al Sistema, organizzazione dai connotati vaghi che deve probabilmente ritenersi fornitrice di servizi per il sistema della imprese. Nemici del Sistema sono i «Semiotici» della Fabbrica, struttura legata alla criminalità organizzata e che ha compiti e funzioni diametralmente opposte.
Il Sistema e la Fabbrica assomigliano molto ai fabbricanti di cannoni e di corazze del romanzo di Jules Verne Dalla terra alla luna, nel senso che a ogni progresso del primo nell’ingarbugliare i dati risponde la seconda con un nuovo metodo per renderli comprensibili.
Il protagonista riceve un giorno una commissione inconsueta da un anziano biologo, genio della neurologia autosegregatosi in uno studio-fortezza inviolabile. Da quel momento cominceranno avventure e strani incontri, ivi compresa la scoperta della vera natura del suo talento di cifratore.
Parallelamente a questa vicenda (Il paese delle meraviglie), si snoda la seconda (La fine del mondo), ambientata in un luogo fantastico, una città cinta da altissime mura, dove non esistono né gioia né tristezza, un luogo con un passato vago e oscuro e dove il tempo si ripete sempre uguale.
Si procede per buona parte del libro seguendo a capitoli alternati le due vicende: una «fiaba» alternata a un romanzo «di fantascienza». Ovviamente si sospetta un collegamento, un possibile incontro tra le due storie, anche se appare difficile immaginarne i modi. Murakami inserisce qualche enigmatico elemento di collegamento, ma nulla lascia supporre la spiegazione che compare a un centinaio di pagine dalla fine e che, ovviamente, mi guarderò bene dal riportare.
Fiaba? Fantascienza?
Volendo ridurre il romanzo a un semplice problema di casistica narrativa bisognerebbe concluderne – in base allo scioglimento – che si tratta della seconda. Ma farlo è inutile e rischia di occultare le caratteristiche del tutto personali dell’autore.
Murakami ha sempre fatto largamente uso del fantastico nei suoi testi, un fantastico onirico che non fornisce spiegazioni alla propria esistenza né può essere ridotto a un quadro razionale. Qui, accanto a elementi fantastici che possono essere – sia pure non del tutto agevolmente – ricondotti a una fenomenologia logica e materiale (la spiegazione fantascientifica degli eventi), ne allinea altri che appartengono al mondo dell’incubo metropolitano e che risultano ortogonali a qualsiasi spiegazione razionale.
Accanto a questi elementi che potremmo definire «macronarrativi» il consueto procedere «minimale» di Murakami, fatto di incontri e pensieri tenacemente quotidiani, del tutto antidrammatici. L’incontro tra due «modi» tanto distanti è sconcertante e rischia di lasciare insoddisfatti sia gli amanti del minimalismo sia i cultori della fantascienza. Per chi non ha aspettative predefinite La fine del mondo e il paese della meraviglie può rivelarsi un testo sorprendente e piacevole, interamente centrato sul tema del mistero dell’identità personale e dell’insondabile rapporto che lega la percezione della realtà con la sua rappresentazione interiore.
Da LN-LibriNuovi n. 23, autunno 2002