Cuore d’acciaio di Michael Swanwick deve probabilmente molto di più alla fiaba che alla Fantasy, così come la concepiamo in Italia nel 2016 e da molti viene considerato un antesignano del New Weird. Due i protagonisti: un drago meccanico completamente passo, Melanchton, e Jane, un’Alice-oltre-lo-specchio in età post-puberale.
Il mondo di Jane e di Melanchton è una Terra dove convivono praticamente tutti i quasi-umani della tradizione occidentale: elfi, coboldi, gnomi, orchi ecc. ecc., più tutti i frutti e i derivati delle unioni più strampalate. Esistono centri commerciali, fiorenti industrie basate sullo schiavismo, un governo centralizzato, una Università con borse di studio, ricercatori e docenti, ma la forma classica di conoscenza è l’Alchimia e gli incantesimi sono realtà quotidiana: dall’incantesimo per non rimanere incinte fino all’incantesimo-antifurto per difendere i negozi dei centri commerciali. A questo punto avrete capito che si tratta di un romanzo Fantasy quanto meno sui generis. Melanchton è una macchina da guerra, programmata per distruggere e uccidere. Abbandonato in fabbrica come rottame convince Jane – bimba umana sostituita – a rimetterlo in funzione e a fuggire insieme. La formazione di Jane una volta libera avviene in un mondo rovesciato e assurdo, un universo metaforico nel quale lo straniamento dell’apparente alienità lascia continuamente il passo al riconoscimento del Nostro mondo, deformato grottescamente come in un sogno, ma pienamente riconoscibile. La chiave del testo sta probabilmente proprio in questa dimensione onirica, fortemente sensuale, allucinata e insieme rivelatrice.
Non sapendo bene come regolarsi l’editore (Fanucci) ha parlato di Cyberfantasy, genere inesistente e che anche esistendo avrebbe pochissimi estimatori. Più correttamente bisognerebbe inserire il romanzo di Swanwick nel grande filone degli autori anglosassoni di antiutopie e di racconti filosofici: Swift, Samuel Butler, Peake, Abbott, senza dimenticare il debito nei confronti di Lewis Carroll, (cioè verso Alice, il Cappellaio Matto, la Lepre Marzolina, la Regina delle Carte, il gatto del Cheshire, ecc. ecc.). Si potrebbe arrivare a dire che Lewis Carroll ha in un certo senso inventato ex-novo una dimensione narrativa, l’assurdo inquietante, che puntualmente ritroviamo in questo libro di Swanwick. Insomma, se ne avete l’occasione leggetelo, raramente vi capiterà di nuovo in mano qualcosa di altrettanto suggestivo e delirante.
Michael Swanwick, Cuore d’acciaio, Fanucci 1995, pp. 352, trad. Susanna Bini, ed. fuori commercio
Michael Swanwick, La figlia del drago di ferro in I draghi del ferro e del fuoco, Mondadori Urania Millemondi n. 54, 2011
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