Autore di A voce alta (tradotto in venticinque lingue), il magistrato Bernhard Schlink (Bielefeld, 1944) ha anche scritto una serie di gialli con un protagonista piuttosto inconsueto: Gerhard Selb, un investigatore privato lontanissimo dalla figura del classico detective. Selb, che vive a Mannheim, non è un duro, non è cinico e amareggiato, non è uno sciupafemmine, è un «ex», ma non è il solito ex poliziotto cinico e schifato per la corruzione del Sistema; è invece un gentiluomo sulla settantina, ironico e ben portante che, anni e salute permettendo, sposerebbe Brigitte, la sua «amica» decisamente più giovane. Nel molto tempo libero che gli ormai pochi casi gli lasciano, Gerhard fa un po’ da padre al figlio di Brigitte, vede un certo numero di amici, vive solo con un gatto obeso, cucina piuttosto bene e si arrangia a fare i conti con un passato che, data l’età e la nazionalità, non può scivolare via leggero: la campagna di Polonia nei ranghi della Weimar, una ferita, lutti inflitti e subiti e, dal 1942, l’impiego come sostituto procuratore di Stato.
Selb non è uno speculatore mentale come Nero Wolfe, è invece un investigatore che consuma le scarpe sulla strada e che, nonostante gli anni, incassa ancora qualche pugno; un detective fuori tempo massimo, con pochi mezzi e privo di assistenti, un Maigret in sordina con una spruzzata di Marlowe, che, come noi lettori, può peccare di impulsività e di eccessiva fiducia nel prossimo.
In questo terzo volume della serie (dopo I conti con il passato e L’inganno di Selb) Gerhard, in una notte di neve e bufera, incontra per caso un giovane banchiere e lo aiuta a riavviare l’auto in panne. Lo scambio canonico di biglietti da visita spinge il banchiere a consultarlo per un incarico apparentemente semplice: appurare l’identità del socio «occulto» che a fine Ottocento risanò le finanze della banca. La ricerca, apparentemente motivata dal desiderio di ricostruire la storia della banca, si complica per l’atteggiamento inspiegabilmente poco collaborativo del cliente, per lo strano comportamento del suo segretario, per la morte misteriosa dell’archivista… Indagando sulle presenti attività della banca, Selb scopre legami con una banca cooperativa dell’ex DDR…
Gerhard ripercorre gli anni del nazismo, il difficile dopoguerra, la separazione traumatica e l’altrettanto traumatica riunificazione – più apparente che reale – tra le due Germanie e poco alla volta ricostruisce i propri ricordi e affronta rimpianti e rimorsi. Invece di tirarsi indietro, di accontentarsi di mezze verità, si incaponisce, anche a costo della pace interiore, a sbrogliare una vicenda che svela molti retroscena dell’Europa di oggi e alla fine scopre, come già nei due gialli precedenti, che nessuno è mai davvero innocente. La conclusione è amara, segnata dall’impossibilità di mettere la parola fine a un caso comunque risolto e, per Gerhard, da un futuro che dopo un infarto si assottiglia sempre più.
Onesto e ben costruito anche come romanzo di genere, L’omicidio di Selb ha un’unica pecca veniale, quella di sacrificare il potenziale narrativo dei personaggi di contorno – gli «amici» di Selb e Brigitte – per rendere più compatta la narrazione. Il titolo italiano, benché fedele, non riesce a rendere fino in fondo l’ambiguità dell’originale Selbsmord che gioca su un doppio registro: Selb-assassino (omicidio di Selb) e Selb-vittima (selbs[t]mord=suicidio).
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Bernhard Schlink, L’omicidio di Selb, Garzanti 2004, ed. or. 2001, pp. 261, € 15,50 ,trad. Umberto Gandini
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