Il Miracolo, «racconto giallo su sfondo politico» di Josef Skvorecky, (Fandango libri, trad. dal ceco di Giuseppe Dierna), si svolge in gran parte nella Cecoslovacchia del 1968, punto di svolta e di probabile definitivo tramonto del socialismo reale. Protagonista e io narrante un modesto insegnante, sceneggiatore di commediole umoristiche senza pretese e scrittore tutt’altro che coraggioso.
È probabile che qualcuno, prendendo in mano il libro, uscito già da qualche mese, abbia pensato a un romanzo cupo, tetramente politico, pieno di sensibilità calpestate e aneliti di libertà oppressi. È davvero così?
In cucina tenevano la consueta funzione religiosa del giovedì i fratelli dell’Unità di Chelcicky […] Uno, aiuto operaio nell’acciaieria, suonava il liuto, l’altro, aiuto operaio in una filanda, torturava a morte il violino. La vedova in persona sedeva da un harmonium che era stato accordato per l’ultima volta nell’epoca precedente alla prima guerra mondiale, e un certo signor Hribek, credente in incognito, eseguiva un timido accompagnamento al basso.
No, evidentemente no.
D’altro canto la tradizione narrativa céca è beffarda, sardonica, irriverente. Basti pensare a un classico come Il buon soldato Sc’vejk di Jaroslav Hasek. In questa tradizione Skrovrecky si identifica magnificamente, raccontando la turpe vicenda di un curato di campagna torturato e ucciso dalla polizia politica comunista a seguito del «miracolo», ovvero un San Giuseppe di ceramica miracolosamente animatosi durante una funzione religiosa.
Da una parte l’ingenua superstizione cattolica, non priva di risvolti di intolleranza e bigottismo, dall’altra la torva stupidità del regime comunista céco, preoccupato dal rinascente culto mariano. In mezzo il protagonista: uomo volubile, frivolo, donnaiolo, agnostico irriverente, sistemato nel romanzo proprio per indicarne il vero tema: la fede. La fede appassionata e letale per un ideale grande e giusto, qui rappresentata come vera, insondabile debolezza dell’umanità. E, a meglio caratterizzarla, i suoi corollari: il conformismo nel praticarla, l’intolleranza per chi non vi si attiene.
Fede che è anche equivoco, confusione, impossibilità di comunicare, che rende drammaticamente comiche le discussioni tra gli equipaggi dei carri armati sovietici mandati a «liberare» la Cecoslovacchia nel 1968 e la gente di Praga. Un romanzo che ossessivamente racconta lo stesso equivoco, nato dall’instancabile capacità degli esseri umani di illudersi. Interessi meschini, eroismi ed egoismi, piccoli calcoli e grandi gesti vengono macinati e divorati, snaturati fino ad apparire innocue fissazioni o difetti personali. Non sembrano esserci veri «cattivi» nel romanzo di Skrovkeny, in compenso abbondano i confusi, i perplessi, gli ingenui, i benintenzionati e i benpensanti. A confermare che il vero, il solo peccato imperdonabile, per il quale non esiste remissione è una fede priva di senso critico.
Verrebbe da dire che si tratta di un tema estremamente attuale…
Josef Skvorecky, Il miracolo, Fandango 2001, pp. 584, € 22,00, trad. Giuseppe Dierna
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