Racconto d’autunno di Tommaso Landolfi, editore Adelphi, è un testo scritto nel 1946, all’indomani della guerra e di questa mantiene qualche traccia nelle prime pagine, con il protagonista disertore del Regio esercito dopo l’8 Settembre che cerca rifugio sulle montagne.
Ma l’attacco da storia partigiana è solo un pretesto per Landolfi per mettere in scena in un’antica, sperduta casa nobile una storia di fantasmi, perversioni, possessioni e innominabili orrori. Memorabili le prime cento pagine, miracoloso esempio di gotico fuori stagione, cesellato con raro equilibrio e con l’uso accortissimo di un italiano desueto e ottocentesco. Il guaio è che il romanzo è di 130 pagine circa e nelle ultime trenta pagine Landolfi si trova alle prese con un problema tipico delle storie gotiche: la chiusa. In altre parole: dopo aver creato un’altissima grado di tensione lo scrittore deve trovare una conclusione che rassereni (o inquieti ulteriormente) il lettore e che risolva nodi ed eventi della vicenda dandogli senso compiuto. Owiamente questo non significa trovare un significato terreno, materiale a eventi soprannaturali, ma semplicemente trovare una via coerente ed efficace.
Landolfi, autore attento, è evidentemente ben conscio della posta in gioco ma nel finale decide di rilanciare, inserendo un ulteriore personaggio che vivrà per una sola notte (almeno per il protagonista) e troverà una morte tanto stupida quanto efferata.
Le ultime pagine – febbrili, incontrollate – rotolano affannosamente verso l’inevitabile finale di morte e dolore, rendono frettolosamente conto della follia erotica degli abitanti della casa, (con qualche inevitabile caduta nel grottesco) e si chiudono nuovamente con la guerra, che il lettore aveva dimenticato, che appare nella sua forma meno eroica e più stupidamente sopraffattrice.
Personalmente apprezzo Landolfi, pur scontando diverse riserve sul suo italiano anticato e a volte lezioso e sul suo gusto retrò per un nero torbido, sensuale; insistito e decadente. Credo che rappresenti un «minore» italiano tra i più interessanti e penso sia uno dei pochi autori nostrani che abbia avuto il coraggio (inaudito) di affrontare gli aspetti meno consueti e rassicuranti del sesso. Magistrale, a questo proposito, il suo Un amore del nostro tempo, edito anch’esso da Adelphi, storia di un incesto felice. Altro aspetto interessante e pressoché unico di Landolfi è lo humour nero, il gusto visionario di certe sue storie, il piacere tutto letterario di parodiare, scomporre e confondere la lingua, provocando il lettore dabbene e morigerato.
È lo squilibrio tra la prima e la seconda parte a rendere il testo meno controllato di altri anche se comunque di ottimo livello. Resta da dire che un brandello, uno straccio di riflessione critica su autore e opere che andasse un po’ oltre la generosa postfazione di Idolina Landolfi in chiave esclusivamente biografica, avrebbe meglio inquadrato l’autore e la sua opera.
Tommaso Landolfi, Racconto d’autunno, Adelphi Biblioteca 1995, 3ª ed., pp.141, € 18,00
idem, Adelphi gli Adelphi, pp. 133, € 12,00
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