Frutto di un periodo particolarmente prolifico della produzione di Simenon (ma quale periodo non lo è stato?), I clienti di Avrenos (Les clients d’Avrenos, 1935) fu scritto nel 1932 e fa parte dei romanzi senza Maigret. Dopo essere apparso in Italia nel 1938, con la traduzione di Guido Cantini, targato Mondadori, è stato ristampato solo nel 1961 prima dell’edizione, come sempre molto accurata, di Adelphi, nel 2014.
Lo scenario del romanzo, che resta sempre sullo sfondo a ne costituisce un aspetto imprescindibile è la Turchia degli anni Trenta, quelli dell’inizio della repubblica turca e della sua mondernizzazione a opera di Mustafà Kemal. Basandosi su un’ideologia occidentalista, nazionalista e avversa al clero musulmano, Ataturk, il «padre della Turchia», come verrà chiamato, in quindici anni di potere (1923 -1938) come presidente della Repubblica, promuove l’abolizione dell’islamismo come religione ufficiale di stato e della poligamia, la laicizzazione dell’insegnamento, la parità dei sessi e il diritto di voto alle donne (nel 1934), nuovi codici civile e penale, riforma il sistema giudiziario, proibisce l’uso pubblico del velo, legalizza le bevande alcoliche e depenalizza l’omosessualità. Sono anni di grandi trasformazioni nei quali personaggi come quelli raccontati da Simenon nel romanzo possono accumulare fortune o perdere quasi tutto ciò che avevano, e cercare di sbarcare il lunario contando su piccolissime rendite o svolgendo lavori saltuari.
In una Ankara nuova di zecca, capitale moderna voluta da Kemal, Bernard de Jonsac, ultimo discendente di una famiglia della piccola nobiltà francese ormai spiantata, è in servizio presso l’ambasciata francese in qualità di dragomanno [1]. Una sera, in un locale notturno, conosce Nouchi, una giovanissima entraineuse ungherese che intrattiene i clienti. Intraprendente e sveglia la ragazza decide di seguirlo a Istanbul dove di fatto gran parte del personale amministrativo si trasferisce per l’estate. Quasi senza rendersene conto Bernard si trova a condividere l’alloggio e la vita con lei.
Curato nell’aspetto anche se poco abbiente, distinto nei modi e con l’abitudine di portare sempre il monocolo, Bernard non è un funzionario di primo piano, ma è prezioso per l’ambasciatore:
… non sarebbe stato facile trovare un dragomanno alla sua altezza, un francese sufficientemente distinto e al tempo stesso senza grandi pretese che conoscesse bene la lingua e le usanze turche.
Nouchi è sveglia, molto più di quanto la sua età farebbe supporre, non è bella ma, come avrebbe detto mia nonna, fa tipo. Affascina, si impone fra gli amici flaneur e di pochi mezzi di Bernard che si riuniscono spesso nel ristorante di Avrenos, fiuta l’aria e dà il gusto prezzo a ognuno:
Quelli con i soldi, che vogliono divertirsi, invitano due o tre ragazze al loro tavolo, mangiano e bevono senza stare a contare le bottiglie. E poi gli altri, […] come tutti gli amici di Jonsac , che la sera non hanno niente da fare e vanno a sedersi in un angolo per restarci il più a lungo possibile, ordinando la consumazione meno costosa.
La ragazza, con alle spalle un’infanzia di miseria, sa come presentarsi, divenendo presto indispensabile. Da provvisoria la relazione fra lei e Bernard, in realtà un sodalizio privo di connotazioni sessuali, diviene presto stabile, quando un funzionario turco suo amico lo avvisa che, secondo le nuove leggi volute da Kemal, Nouchi non può continuare a fare la “danzatrice” [2] dopo i primi mesi di permanenza nel paese. O si trova una sistemazione oppure verrà espulsa. Per regolarizzare la situazione di Nouchi, Jonsac decide di sposarla. Il matrimonio rimane praticamente segreto..
Ambiziosa, ben decisa a guadagnarsi la sua fetta di benessere – vivere in un bell’appartamento, poter attraversare il Bosforo su un’imbarcazione elegante, partecipare alle feste nei quartieri ricchi, viaggiare su auto potenti – Nouchi in un uomo non cerca l’amore, anzi di tutti loro ha una bassa opinione e un profondo disgusto, ma un socio, un compagno di scalata nella società turca in movimento. E spera di averlo trovato in Bernard, in realtà troppo flaneur e superficiale per riuscire a farsi strada. Così Nouchi gli consiglia come vestirsi, scegliendo nel guardaroba poco fornito di lui, si spende per fargli aver buone occasioni, ed è davvero brava, tanto da riuscire a fare amicizia con le persone giuste, che frequenta discretamente e senza mai farsi troppo coinvolgere, traslocare con Bernard in un appartamento elegante e frequentare se non l’alta società di Istanbul, almeno coloro che ritengono di potervi entrare prima o poi. Sincera e onesta a suo modo, Nouchi non promette nulla a nessuno, e sguscia fra gli uomini che la corteggiano lusingandoli senza concedersi. Di loro non gli importa, sa come tenerli a bada e anche come suscitare in loro sentimenti complessi che vanno dal desiderio all’affetto condiviso con gli amici verso una sorellina. Accomunati dal quella strana forma di passione, destinata a non essere mai veramente soddisfatta, Bernard e altri due suoi compagni vengono indicati dalla ragazza come «i miei tre mariti», definizione geniale che ne mette in luce la mancanza tolleranza profonda anche se in superficie permangono piccole rivalità.
Uno dei due aspetti più interessanti del romanzo è il confronto tra la tostissima protagonista e Lelia, una ragazza dell’alta borghesia, apparentemente disinibita e sicura di sé, in realtà frenata da una educazione molto per bene e da una concezione romantica e inconcludente della vita. L’altro aspetto è l’atmosfera ammaliante di Istanbul, bella e suggestiva su entrambe le rive del Bosforo, la sua natura sospesa fra modernità e tradizione; la città e il modo di vita che induce in tutti i personaggi è una sorta di malia penetrante, snervante, che pare imprigionare tutti, abitanti e turisti: Bernard, Lelia, Stolberg, tutti approdano a Istanbul, pensando di andarsene, prima o poi. Ma restano, insoddisfatti e E non se ne vanno mai.
Nouchi aveva creduto di poter spezzare il cerchio e non ci era riuscita. Aveva bisogno anche lei del rollio indolente dei caicchi sul Bosforo, del chiaro di luna al cimitero di Eyup, dei tramonti purpurei sul Corno d’Oro…
Un Simenon abbastanza inconsueto, per lo scenario e il personaggio femminile a suo modo ammirevole con, se proprio lo si vuol trovare, il solo “neo” di aver caricato eccessivamente il destino di Lelia.
[1] il termine deriva dal babilonese ed è stato francesizzato in drogman. Venne applicato agli interpreti tra gli Europei e i popoli di lingua araba, turca e persiana e rimase, anche in tempi recenti per indicare personale in servizio presso le ambasciate e i consolati, al seguito delle missioni politiche e commerciali, nei porti e nelle dogane. [2] «danzatrice», «parrucchiera» o «manicure» era la professione dichiarata dalle ragazze che, a gruppi e spesso accompagnate da una donna più anziana (talvolta madre di una di loro) e provenienti dall’estero, si esibivano ed erano compiacenti con i clienti dei locali notturni.Qui per situare la vicenda nella realtà turca dell’epoca.
Dal romanzo è stato tratto nel 1996 un TV movie, Les clients d’Avrenos, reperibile in streaming, per la regia di Philippe Venault e la sceneggiatura di Emmanuel Carrère.
Georges Simenon, I clienti di Avrenos, Adelphi Biblioteca 2014, pp. 157, € 17,00, trad. Federica Di Lella, Maria Laura Vanorio.
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