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    Magazzino

    Le sei reincarnazioni di Ximen Nao di Mo Yan

    • di Consolata Lanza
    • Giugno 26, 2015 a 3:51 pm

    sei rincarnazioni

    Certe volte, lo sanno tutti, è molto meglio non andare a frugare nei ricordi degli amori passati. Certe volte non è saggio cercare di rivivere le antiche emozioni, tanto non ci si riesce (quasi) mai. Ma sappiamo tutti anche che è quasi impossibile resistere alla tentazione. E così di fronte alle reincarnazioni di Ximen Nao sono riuscita solo a pensare alla passione che ho condiviso con Mo Yan, l’ho scaricato ma poi l’ho tenuto per mesi, o anni, sul Kindle in attesa del momento buono. Che è venuto un po’ di tempo fa.
    Confesso che all’inizio ho faticato, i personaggi sono molti e le vicende complicatissime, ma poi l’antica magia mi ha ripreso e sono precipitata in un cortile della cittadina di Gaomi, teatro di altre storie note come mi sono accomodata sotto l’albicocco storto e ho partecipato alle mille storie che si svolgevano come su un palcoscenico intanto che la storia della Cina procedeva al galoppo dagli anni cinquanta del novecento fino alla fine del secolo. Ximen Nao è un proprietario terriero che viene giustiziato come nemico del popolo agli inizi del maoismo ma non vuole riconoscersi colpevole davanti a Yama, re degli inferi, e viene così condannato alla reincarnazione finché non avrà spurgato ogni traccia di rabbia per essere stato ucciso. Rinasce il 1º gennaio 1950 nel villaggio che porta il nome della sua famiglia, Ximen, nel corpo di un asino, diventando poi un toro, un maiale, un cane e una scimmia, e finalmente un essere umano.
    Ximen Nao aveva una moglie sterile e due concubine, dalle quali aveva avuto rispettivamente due femmine e un maschio e una femmina i cui destini nel corso del romanzo si intrecciano inestricabilmente. Una delle due donne si risposa con Lan Lian, un contadino con mezza faccia blu che rifiuta ostinatamente di partecipare alla collettivizzazione delle terre rimanendo indipendente malgrado pressioni e ostracismi, e due suoi figli, Ximen Jinlong di primo letto e Lan Jefang di secondo, sono i protagonisti intorno ai quali si arrotolano vicende straordinarie, che risentono della vena fantastica di questo fantastico autore e nello stesso tempo rispecchiano le vicende storiche della Cina: il maoismo, la rivoluzione culturale, la morte di Mao, la liquidazione dell’ideologia comunista, la trasformazione dell’economia sociale in un selvaggio capitalismo che tocca punte di follia pura, con capovolgimenti di fortune personali, eroi della rivoluzione che impazziscono delusi dal tradimento degli ideali, la corruzione che si insinua dappertutto, l’ambizione che sostituisce il merito, e tutto quello che abbiamo letto sui giornali ma di cui forse non abbiamo capito esattamente il senso.
    La trama, in apparenza costruita attraverso un accumulo di episodi un po’ stordente, in realtà ha una struttura ferrea. Attraverso le due linee di successione dei protagonisti, Ximen Jinlong e Lan Jefang, seguiamo l’evoluzione delle due eredità della Cina: da una parte il figlio del proprietario terriero si trasforma successivamente in funzionario di successo quindi in capitalista rampante (il suo ultimo progetto, un parco a tema sulla Rivoluzione, è davvero fantastico), per approdare a un finale tragico, dall’altra il figlio dell’unico contadino indipendente di tutta la Cina refrattario alle novità (la cui diversità è annunciata dalla faccia blu che si tramanda da una generazione all’altra) dapprima si adatta, subisce fatalisticamente le trasformazioni, poi reagisce scegliendo individualisticamente l’amore e la passione contro il proprio interesse e infrangendo la tradizione, ma tutto conduce all’esplosione di follia amorosa finale in cui finiscono travolti gli esponenti della terza generazione, in una visione tutto sommato disperata. Tutto sotto l’occhio acuto e i commenti delle cinque bestie e dell’ultima reincarnazione di Ximen Nao, il “bambino dalla testa grossa”. Non c’è lieto fine per la Cina degli affaristi senza scrupoli che hanno saputo cavalcare qualunque onda, ma neppure per la Cina contadina paziente e rassegnata.

    mo yan

    Mo Yan

    Le voci narranti che si alternano son l’una umana (Lan Jefang) e l’altra bestiale (Ximen Nao, nelle sue varie reincarnazioni): il punto di vista dei cinque animali è irresistibile, mentre a poco a poco dimenticano il proprio passato umano, il ricordo delle emozioni e dei pensieri di Ximen Nao si fa sempre più labile mentre la natura di bestie prende il sopravvento. I più divertenti e movimentati sono forse il maiale e il cane, ma anche il toro non è certo deludente, e gli episodi irresistibili sono molti. Ogni tanto l’azione si scatena in frenetici balletti, come quello esilarante delle giacche di pelle mongole sequestrate, riprese, vendute, risequestrate a dimostrazione che l’arte di arrangiarsi e l’ottusità della burocrazia sono universali. Tra i moltissimi personaggi c’è anche Mo Yan, sempre presentato fin da bambino come ambizioso, bugiardo, fastidioso, incapace di capire i momenti che vive ma soprattutto inaffidabile e cattivo scrittore, in un giochetto forse un po’ insistito, prima di diventare anche lui voce narrante nella parte finale dove scoppia un parossimo di crudeltà e follia che fa pensare che Mo Yan non sia ottimista sul presente della sua patria.
    È un libro molto corposo (736 pagine nell’edizione cartacea) che richiede attenzione e tempo, non si può leggere una pagina prima di dormire, ha spessore e complessità per dieci. C’è dentro materiale romanzesco e riflessione storica che a un autore normale basterebbero per una decina di romanzi. Ho ritrovato tutto quello che mi aveva fatto innamorare, l’immaginazione sfrenata, la capacità di scivolare nel fantastico senza cambiare tono, la meravigliosa scrittura antinaturalista e espressionista al massimo, i personaggi complessi e divertenti, l’ironia, il grottesco, gli eccessi; in più qui c’è anche una vena poetica che si esprime nelle molte scene dedicate alla luna. Mi ha riconciliato con quel filino di noia che mi aveva preso leggendo The repubblic of wine, nell’ormai lontano 2009. La mia ammirazione per Mo Yan è incondizionata, non è certo la prima volta che la esprimo.
    Non bisogna temere però che il senso, e la riflessione politica o esistenziale che stanno sotto al testo lo appesantiscano. Mo Yan è un narratore, uno che ha come primo scopo quello di accumulare storie, personaggi, scene sfrenatamente divertenti o grottesche, immagini stupefacenti, sorprese, descrizioni poetiche e fantastiche. È meno violento di altri suoi libri, ma certo non è mai sentimentale né buonista né politicamente corretto. Se avessi a disposizione un paio di reincarnazioni e meno libri accumulati in attesa di lettura, Le sei reincarnazioni di Ximen Nao lo rileggerei volentieri.
    La fluida traduzione è di Patrizia Liberati, e all’inizio c’è un opportunissimo elenco dei personaggi che aiuta molto nella lettura. Comunque per apprezzarlo ricordatevi di dare a Mo Yan quel che è di Mo Yan: molta attenzione, concentrazione e tempo. E la mia prossima mossa sarà leggere Le canzoni dell’aglio, che mi aveva divertita moltissimo quando l’ho letto tradotto in inglese e finalmente è uscito in italiano.

    .
    Mo Yan, Le sei reincarnazioni di Ximen Nao
    Einaudi Supercoralli 2012, pp.736, € 22,00, trad. Patrizia Liberati

    Idem Einaudi ET Scrittori, pp, 808. € 16.00

    Idem Einaudi Ebook, pp. 736, € 6,99
    Recensione già apparsa sul sito di Consolata Lanza, Anaconda Anoressica.

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