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    In primo piano · TerraNova

    Il villaggio nero di Stefan Grabiński

    • di Massimo Citi
    • Giugno 17, 2015 a 5:05 pm

    villaggio nero

    Il Villaggio nero, è un’antologia di gotico tratta dall’opera di Stefan Grabiński, autore di letteratura del soprannaturale dall’inizio del secolo scorso fino agli anni ’30. Grabiński, nato nel 1887 in una cittadina della Galizia polacca e morto nel 1936, dimenticato e in miseria, è stato definito il «Poe polacco», definizione che può aver richiamato sulla sua opera una certa attenzione ma che non rende giustizia a certe caratteristiche interamente sue e decisamente uniche. In particolare la razionalità perfetta – e a tratti disumana – di Grabiński lo separa nettamente da Edgar Allan Poe, capace in Dupin di raffinati giochi di logica ma in realtà profondamente romantico e cantore di una disperata umanità solitaria e senza speranza.
    Stefan Grabiński è stato autore di diverse raccolte di racconti, di qualche romanzo, anche se questi ultimi: «…privi, al più, della medesima tensione, appesantiti alquanto da concezioni esoteriche e speculazioni nei campi tradizionali dell’occulto [dalla nota biobibliografica di Andrea Bonazzi]», di qualche lavoro teatrale andato in scena a Varsavia, Cracovia e Leopoli, oltre che autore della sceneggiatura di un film. Curioso notare come le prime traduzioni di Grabiński furono proprio in italiano, nel 1928, per «La Stampa». I dodici racconti raccolti in quest’antologia provengono da diverse raccolte, i primi due da Il demone del movimento [Demon Ruchu, 1918], i tre successivi da Il pellegrino folle [Szalony pątnik, 1920], il racconto che dà titolo all’antologia – Il villaggio nero – è uscito separatamente in una rivista letteraria nel 1924, i tre successivi dalla raccolta Storia incredibile [Niesamowita opowieść, 1922], un’altro uscito presso una rivista letteraria nel 1922 e gli ultimi due provenienti dall’antologia Il libro del fuoco [Księga ognia, 1922].

    grabinski-by-gino-andrea-carosini
    Esiste, ovviamente, una varietà di situazioni e di ispirazioni in un gruppo di racconti nati in momenti e per antologie diverse, ma è relativamente facile cogliere un insieme di ispirazione e di visione che li unisce tra loro. A grandi linee si potrebbe dire: prima di tutto la passione – puramente narrativa – per i treni e più in generale per le macchine e la tecnologia. Ma si tratta di una passione che non ha nulla dell’ottimismo positivista verso tutto ciò che è nuovo e tecnologicamente avanzato, ma di un nuovo terrore venuto ad aggiungersi ai pericoli che già assediano l’uomo del XX secolo. In racconti come Il demone del movimento, La vendetta degli elementali e particolarmente ne L’engramma di Szatera il rapporto con la tecnologia, e in quel caso con la potenza e la velocità dei treni, diviene un incubo che coinvolge la nuova tecnologia, rendendola complice di un’ignota, innominabile entità.
    Una seconda potente suggestione prende corpo in altri due racconti, L’amante di Szamota e A casa di Sara. Qui è il sesso femminile – incubo e passione malata di molti autori da tempo immemorabile – anzi il Sesso tout-court a divenire l’allucinante alieno in grado di offuscare la percezione o il pericolo indicibile dal quale è necessario difendersi. Le occulte armi femminili in questo caso si disincarnano e divengono strumenti di un oscuro potere, in grado di rendere un uomo un semplice fantasma:

    su una sedia, nel mezzo della stanza, vidi una figura umana, gelatinosa. I tratti somatici sfumati, simili a quelli di Stoławski. Era del tutto trasparente, attraverso essa potevo vedere chiaramente i mobili e gli oggetti della stanza…

    demon ruchuMa gli incubi di Grabiński possono prendere vie enigmaticamente inattese, come ne Lo sguardo, cronistoria di un’invasione paradossale, ne L’area, La stanza grigia, Il villaggio nero e Il bianco lemure. Curioso notare come spesso i personaggi di Grabiński siano persone normali, quotidiane, alle prese con ambienti e situazioni che non hanno nulla di apparentemente paradossale ma che, gradualmente, assumono caratteristiche dapprima inquietanti fino a rivelarsi, attraverso gradi crescenti e matematicamente perfetti di deriva del reale, puri incubi senza possibilità di uscita.
    Altro particolare curioso è il sottile grado di humour nero – a tratti sconfinante in un raffinato sadismo criminale – che in molti passaggi domina il raccontare, come se l’autore fosse perfettamente conscio dei pericoli che attendono lo sventurato protagonista ma che egli in fondo ne godesse, seguendone i disperati tentativi di sfuggire alla sua sorte.

    Ma quando videro in faccia l’ubriaco, tutti arretrarono di colpo. […] Il corpo dell’estraneo vestito in modo ricco ed elegante aveva, in verità, la testa di un cadavere: gli occhi, profondamente infossati nelle orbite, erano fissi nella parvenza fredda della morte, la pelle, giallastra e rattrappita, era tutt’uno con il colore osseo degli zigomi sporgenti, il cranio senza orecchie, privo di capelli, lucido e liscio come l’osso di una tibia… […] Non avvertirono il calore che il corpo stranamente conservava, non s’erano accorti che le mani non erano per nulla decomposte, nessuno pensò per un istante alla diversità tra testa e corpo. [da La storia di un becchino]

    Riscopritore di Stefan Grabiński in tempi recenti è stato China Mieville, al quale si deve la presentazione dell’autore in apertura del libro. Libro che, merita sottolinearlo, è un piccolo capolavoro di arte bibliografica, dotato di prefazione, postfazione, guida biobibliografica a cura del traduttore e seconda e terza di copertina illustrate con un ritratto di Stefan Grabiński. Non mancherò di acquistare i prossimi titoli di Hypnos Edizioni, prometto, è da tempo che non incontro un libro tanto ben fatto.

     

    Stefan Grabiński, Il villaggio nero

    Hypnos Edizioni 2012, pp. 290, € 21,90, trad. Andrea Bonazzi

     

    Recensione apparsa in altra versione presso il blog di Massimo Citi, http://fronteretro.blogspot.it/

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