I romanzi di Ôe hanno sempre avuto una forte vena autobiografica, basterà pensare a quello recensito in un vecchio LN, il numero 1, Un’esperienza personale, dove il protagonista, giovane padre di un neonato gravemente handicappato, è lo stesso Ôe. Questo Gli anni della Nostalgia racconta nuovamente un lungo tratto della vita dell’autore, dall’infanzia in un villaggio di montagna fino alla maturità.
Coprotagonista della vita narrata è Gii, l’amico d’infanzia appassionato di Dante, ex-carcerato e animatore di un’esperienza di autogestione della comunità montana del proprio villaggio, dal quale non si è mai voluto allontanare. Ôe racconta la propria vita in controcanto e quasi in contrasto a quella di Gii, giovane prodigio, compagno di studi appena più grande di lui, ma in realtà suo precettore. Non è un personaggio né facile né troppo gradevole, Gii: egocentrico, animato da un larvato sogno di gloriosa autodistruzione, simulatore ma rigoroso fino all’autolesionismo, sognatore individualista – profondamente legato alla foresta dove è nato – attentissimo studioso della Divina Commedia e della poesia di Yeats, egoista come un bambino nei legami sentimentali e sessuali, ma anche follemente generoso, amico onesto e sincero fino a rischiare rotture e litigi con le persone che gli sono più care, primo tra tutti Kei – lo stesso Ôe – che accompagnerà con lettere e giudizi nel corso di tutta la sua carriera di scrittore.
Probabilmente il libro di Ôe potrebbe recare come sottotitolo la frase: “L’enigma della personalità”, e il suo scopo, man mano che si avanza nella lettura, appare sempre più chiaramente quello di costruire un profilo attendibile, onesto e il più possibile completo dell’amico Gii. E tutto il testo è un’ininterrotta esplorazione – di se stessi, di se stessi in rapporto all’Altro, dell’Altro – condotta con pazienza ed estrema umiltà, che registra onestamente i vuoti, le incomprensioni, le lacune, le fratture, i misteri che l’osservazione di qualsiasi vita implica. Gii diviene anch’egli familiare al lettore, con la sua personalità non sempre comprensibile, spigolosa e animata da fissazioni oscure e talvolta terribili, scandite costantemente dalla lettura di Dante. Ed è questo uno degli aspetti singolari del libro, quasi ambisse ad essere un ulteriore (e affascinante) commento alla Divina Commedia. Non si tratta di un rapporto in alcun modo parassita, semplicemente le citazioni dantesche formano un sottofondo ideale agli eventi della vita di Gii, per quanto di universale ed eterno rappresenta il poema di Dante. E anche per chi, come me, ha avuto un rapporto essenzialmente coatto e scolastico con la Commedia, è stato gradevole e illuminante rileggerne alcuni passi guidato dalla sensibilità dell’autore.
Ma Ôe in questo romanzo/ confessione ambisce anche a costruire un Libro della Memoria, scavando nel rapporto complesso, affascinante ed essenziale che unisce letteratura e ricordo, non solo il ricordo personale, ma anche la traccia e l’eco dei ricordi delle precedenti generazioni. Sembra quasi che Ôe cerchi di raccontarsi in quanto testimone, chiamato a riunire nella pagina scritta il filo di tutte le vite che hanno sfiorato la sua. Ma la narrazione condivide la stessa sostanza ambigua del ricordare e il limite di rendere assoluto e definitivo – scritto o detto – anche ciò che è solo relativo, rischiando di nascondere per sempre – con l’irruzione della coscienza – ciò che rimaneva sul filo del crepuscolo, quanto non è stato subito compreso ma è stato altrettanto reale.
A questo forse si deve il ritegno, la lentezza di Ôe. Si tratta, come ogni lettore sa, di un terreno minato, nel quale procedere con estrema concentrazione per non creare falsi riflessi e non percorrere strade sbagliate.
Un romanzo, in quanto opera d’arte, separa definitivamente l’autore dalla propria esistenza, congela giudizi e riflessioni in una forma definitiva. Ôe ha scelto di esaurire una parte di sé per cercare il filo, il senso della propria vita e di quella di chi gli ha vissuto accanto, in primo luogo l’amico Gii, con il quale ha vissuto un rapporto intenso che non cessa di risvegliare in lui interrogativi.
Un romanzo davvero inconsueto, che merita una lettura altrettanto lenta e sensibile. E la merita semplicemente perché il suo respiro è quello dei momenti che ognuno di noi strappa alla propria vita quotidiana per perdersi (o ritrovarsi) nel ricordare..
Ôe Kenzaburo, Gli anni della nostalgia
Garzanti, gli Elefanti Narrativa, 2001, 512 pp., € 11,62, trad. Emanuele Ciccarella
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