Parlare di ignoranza in questi giorni pare essere particolarmente di moda, sembra quindi adeguato presentare qui un paio di libri che, quasi casualmente, sono finiti insieme sulla mia scrivania.
Il primo è un semplice reportage, Ignoranti, L’Italia che non sa, l’Italia che non va, di Roberto Ippolito [Chiarelettere] e il secondo La civiltà dello spettacolo di Mario Vargas Llosa, [Einaudi].
Roberto Ippolito è stato a lungo il columnist per le pagine economiche de «La Stampa» e docente di «Impresa e Concorrenza» alla scuola superiore di Giornalismo della LUISS, Mario Vargas Llosa è scrittore e commediografo, premio Nobel alla letteratura 2010 ed ex-candidato per la destra neoliberale alla presidenza peruviana, a suo tempo sconfitto da Fujimori.
Il pamphlet di Ippolito è un bric-à-brac ricco di dati, anche se disgraziatamente spesso disomogenei e raccolti seguendo il criterio del giornalista di costume piuttosto che dello studioso. È quindi ricco di (consuete) spassose asinate del politico, del sindacalista, del candidato o dell’insegnante di turno ma senza un tentativo reale di investigare il motivo del fallimento reale nel rendere la popolazione italiana mediamente più colta, più attenta, più vivace, più curiosa. Un fallimento che dagli anni ’80 in poi ha finito col monopolizzare il panorama socioculturale del Belpaese.
Ippolito compie un sondaggio nel grado di sensibilità agli stimoli culturali della popolazione italiana, ottenendone un insieme che è gentile definire deficitario. Una scuola non sufficientemente sostenuta – anzi punita, un’editoria sorda agli stimoli innovativi, una ricerca povera e penalizzata, una popolazione adulta incapace di aggiornarsi e progredire e impotente di fronte alla rivoluzione telematica in atto, una classe dirigente – sia politica che imprenditoriale – profondamente ignorante, incapace di progettare e interagire con il mondo. La conseguenza immediata del quadro disegnato è un paese vecchio, incapace, rissoso, meschino, destinato a essere tagliato fuori dai processi economici in atto. Nelle ultime pagine Ippolito prova a immaginare che cosa si potrebbe fare per tentare di uscire da una situazione del genere, ma, onestamente, senza una deciso e cospicuo impegno corale non è possibile immaginare nessuna uscita da un crisi che si presenta come crisi di un modello più che semplice crisi economica.
Due citazioni, d’obbligo:
La migliore politica industriale è la conoscenza. (Alberto Orioli, vicedirettore de Il Sole-24 ore)
L’Italia ignorante non è l’Italia che può prendere slancio. Non contrasta le disuguaglianze, non favorisce l’avanzamento sociale.
Il libro di Mario Vargas Llosa affronta il tema della distruzione della cultura in atto. Parla di
Una cultura sacrificata in nome della ricerca del piacere e dell’intrattenimento. Il ritratto di un tempo destinato alla decadenza.
Tittytainment, si diceva, a indicare certa stampa porno-scandalistica del genere del «Sun» inglese, proprietà (non casualmente) della holding di Rupert Murdoch. Il prefisso “porno”, in questo caso, non indica strettamente la pubblicazione di immagini di natura erotica ma piuttosto il genere di accostamento alla notizia, la selezione a monte di ciò che si ritiene possa interessare un pubblico medio dai gusti elementari. Quindi l’esibizione di tette, certo, ma anche la ricerca e l’esaltazione di notizie o degli aspetti pruriginosi, scandalosi, brutali e catastrofici delle news, a definire un approccio ben definito alla realtà, basato su poche, elementari emozioni. Secondo Vargas Llosa è questo genere di ricerca di facile popolarità a determinare la produzione culturale contemporanea, tanto da eliminare gradualmente qualsiasi voce più ricca e legata a una visione complessa e culturale della propria funzione.
Il valore è stato sostituito dal prezzo. E lo sbadiglio gigante è sempre in agguato.
Lo «sbadiglio gigante», un’immagine retorica creata da Octavio Paz, è l’esemplificazione iperbolica della sorte alla quale è destinata la cultura nel mondo, divenuta indigeribile per un pubblico sprovvisto di strumenti culturali per poterla afferrare, gustare e comprendere.
Inevitabile notare l’atteggiamento surcilioso e amarognolo con il quale Vargas Llosa affronta il tema, anche se risulta onestamente difficile dargli torto, soprattutto nella parte centrale della sua tesi: la morte della cultura per esaurimento.
Ed è ancora più difficile sfuggire alla tenaglia mentale creata dalla lettura contemporanea di due libri come questi, la cui lettura comunque consiglio.
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Roberto Ippolito, Ignoranti, l’Italia che non sa l’Italia che non va
Chiarelettere 2013, pp. 170, € 12,90
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Mario Vargas Llosa, La civiltà dello spettacolo
Einaudi Passaggi, 2013, pp. 192, € 17,00, trad. Federica Niola
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