Non si ha la sensazione di una scrittura fluviale, affannata, irregolare, leggendo Nove oggetti di desiderio di Mian Mian, Einaudi tascabili «Stile libero». Al contrario, ho avuto spesso la sensazione di una scrittura accorta, attenta, ben mirata. Certamente la fama di maudit che accompagna l’autrice esige che il racconto sia carico di aspetti autobiografici e che lo stile sia paratattico e apparentemente poco curato per rendere meglio il disordine emotivo dell’autore, ma è probabile che sia io a sbagliarmi, ovvero che sia io a conferire ordine a ciò che ordine non ha.
Di certo resta la sensazione di un’operazione di marketing molto attentamente preparata, ancorata ad alcuni punti fermi: l’immagine dell’autrice, il suo passato, la sua condotta «scandalosa» all’interno di una società tuttora fortemente regolata.
L’universo nel quale Mian Mian agisce, sia pure nella parziale finzione del testo, è quello di una Cina occidentalizzata, che vive in ritardo ma con ansia febbrile la nuova cultura pop giovanile, fatta di musica, sesso e droga. Sex ‘n drugs ‘n rock ‘n roll, in buona sostanza. In più i nuovi cinesi, figli di una classe media benestante relativamente nuova per la Cina, hanno possibilità economiche paragonabili a quelle dei loro coetanei occidentali e orientali, elemento che certo rende meno drammatico il loro spleen.
Bambocci viziati, verrebbe da dire, se non fosse che i loro percorsi, le loro strette evoluzioni intorno a una lampada accesa misurano con esattezza il vuoto, l’assenza di riferimenti e di aspettative.
Mian Mian racconta così la vita nel nuovo sacro triangolo del S&D&R&R, esteso tra Shangai, Hong Kong e il Giappone, la racconta al femminile, maledicendo a ogni pagina la propria natura emotiva, le tante illusioni, le umiliazioni e le brutalità sofferte. Scrive con calcolata, attenta superficialità. Il suo alter ego sulla pagina è capace in pratica soltanto di brevi rimorsi, rabbie improvvise, attimi di passione e di stordimento, lunghi monologhi fatti di acquisizioni scivolose, inutili, temporanee. Scrive e dice banalità sui sessi e sull’amore, ma nel gioco accortissimo del testo le piccole sentenze servono a rinforzare l’immagine di ragazza immatura alla deriva, illusa e inconcludente. Nell’ombra, alle spalle della scrittura «ingenua» la vera autrice che costruisce passo per passo, parola per parola i percorsi del fallimento dell’io narrante. Magistrale, da questo punto di vista, la chiusa del primo racconto La la la, che rovescia in grottesco e autoillusione un lungo e canonico percorso di sofferenza.
Non eri morto di overdose?
Non so da dove sia nata questa voce, in realtà ho smesso da tempo.
Credendoti morto, c’è mancato poco che lo scorso mese morissi per le esalazioni del gas, e oggi ecco che ricompari. […] Ho deciso di cercarti.
Perché?
Perché a parte te, non ho nessun altro.
Sicuramente meno riusciti e meno nitidi i testi che seguono, ma comunque meritevoli di lettura. Il meglio Mian Mian lo dà nella descrizione – attenta, amara – dei rapporti tra i sessi, un rapporto illusoriamente dinamico, «moderno», occidentalizzato, ma in realtà profondamente segnato dalla differenza di aspettative e dalla disparità dei comportamenti. La nuova umanità nata nella società cinese postcomunista rinnova gli stereotipi della donna sentimentale e del maschio insensibile, dell’amore che al femminile è posto fuori dal tempo e dallo spazio, mentre continua a occupare una posizione contingente nella mentalità maschile.
Mian Mian, Nove oggetti di desiderio
Einaudi Stile Libero 2001, pp. 180, € 8,26 a cura di Maria Rita Masci
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.