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    Come diventare buoni?

    • di Francesco Eandi
    • Giugno 8, 2014 a 3:01 pm

    come diventare buoni
    Katie Carr: medico della mutua dall’oscillante autostima, un amante di scarso spessore, un marito e due figli. David – il di lei marito: eterna promessa giornalistico-letteraria concretizzatasi in percentuali a una cifra nel ruolo di columnist per un tabloid di secondaria importanza. E infine lui, deux ex machina dell’intera vicenda – o quanto meno un buon pretesto per movimentare le acque: Buone Nuove (non che in inglese «Good News» suoni granché meglio, ma ammetterete che la traduzione suona inesorabilmente male), ex deejay di periferia dal tormentato rapporto con gli stupefacenti ora riscopertosi niente meno che medium. O qualcosa di simile.
    Dopo un esordio bruciante (Febbre a 90°, Alta Fedeltà, Un Ragazzo sono i suoi tre principali bestsellers) Hornby deve ora difendere il suo invidiabile status di narratore amato dal pubblico, di certo dall’editore – della nuova generazione di scrittori inglesi è di gran lunga il più venduto – e quanto meno benvoluto dalla critica. Raramente si verifica la coincidenza di tutti questi tre i fatti, e questo già è bastato in passato a fare di Hornby un caso letterario. E oggi?
    Oggi, questo quaranticinquenne londinese sfegatato tifoso dell’Arsenal, con un matrimonio fresco fresco di fallimento e un figlio autistico a cui ha appena dedicato una raccolta di novelle, ricorre bene o male alle stesse armi che hanno fatto di Febbre a 90° o Alta Fedeltà dei successi inaspettati. O meglio: inaspettati fino al punto in cui non si realizza la veridicità del principio per cui alla «gente» piace che si racconti ciò che essa vive, gli accadimenti, i drammi e le gioie che conosce bene, nel linguaggio che conosce bene. E d’altra parte a chi non piace sentir parlare di sé?
    La Londra di Hornby è la Londra piccolo-borghese che spende il suo tempo tra il lavoro nine-to-five della settimana e la birra al pub del venerdì sera, la partita dell’Arsenal o del West Ham il sabato, e l’annoso problema di trovare un biglietto per l’ultimo musical di Lloyd Webber messo in scena all’Astoria la domenica. Ma in Come diventare buoni, questo scenario così terribilmente normale – e altrettanto terribilmente nostro! – Hornby si diverte a sconvolgerlo per un attimo con due questioncine leggere leggere buttate lì per voce di Buone Nuove.
    Che cosa succederebbe infatti se ciascuno di noi ospitasse a casa sua un ragazzo di strada, un barbone, un senzatetto? Come cambierebbe il mondo se l’aiuto verso il prossimo partisse da noi in maniera assai più concreta che non i 50 pence gettati distrattamente in un piattino dell’elemosina? E soprattutto: ma se così stanno le cose, abbiamo lasciato un Hornby ironico, brillante e intelligente per ritrovarne adesso una versione anticapitalista, pseudo-intellettuale e che, come tale, minaccia di essere mortalmente noioso?

    nick hornby

    Nick Hornby

    Ovviamente no. Anzi: ni. La carità di Buone Nuove è fredda, un po’ ambigua, sovieticamente pianificata. Ha più della mozione sindacale che dell’impeto cristiano. La famiglia di Katie Carr, io narrante dell’intera vicenda, si spacca così in due: da un lato David arringa amici e parenti affinché offrano una camera da letto ai bisognosi, mentre la figlia s’impunta in una serie di buone azioni impensabili per qualsiasi essere umano di otto anni. Dall’altro, Katie guarda con sospetto e circospezione a questo strano individuo che s’è impiantato in casa sua e che è riuscito a mutare il cinismo (ma anche la sagacia) del marito in un fervente (quanto petulante) spirito altruista. E dunque, che cos’è questo Come diventare buoni?. Di certo non un trattato antiimperialista: la bassissima credibilità di Buone Nuove costituisce un alibi perfetto per qualsiasi coscienza affinché non si senta turbata dalle istanze che costui porta avanti. Forse allora, al contrario, una critica al buonismo imperante? Hornby non è abbastanza cattivo: non è che non voglia, sono convinto che non ci riesca proprio.
    Più probabilmente, questo è un romanzo da prendere così come andrebbero presi tutti i romanzi: ovvero come il frutto della voglia impellente di un autore di raccontare una storia, senza dover accontentare per forza quei rompiscatole che vogliono, a tutti i costi, vederci dentro un messaggio morale. Bello ma non troppo.

     

    Nick Hornby, Come diventare buoni
    Guanda, 2001, pp. 292, euro 12,75

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