I russi amano ridere di se stessi e della loro passione per l’alcool. Il puritanesimo del regime comunista combatteva l’alcolismo ma senza grandi risultati, finendo per attribuirgli una dignità tale da farne quasi una forma di dissidenza. Caduto il socialismo reale l’alcolismo è tornato alla sua vera dimensione di rifugio e facile fonte di oblio per malinconie, dolori, frustrazioni e sofferenze. I protagonisti di questo divertentissimo romanzo di Slapovskij – romanzo picaresco ne è il sottotitolo – bevono per motivi diversi, più o meno gravi. Il primo, Drago, è un disoccupato con un passato non proprio limpido, il secondo, Scrittore, beve perché pur essendo regolarmente pubblicato è incapace di scrivere un vero romanzo di qualità, sopravvivendo di romanzetti ad alta tiratura e scarsa qualità. Il terzo, Parfen, beve perché è un burocrate frustrato e bilioso che non riesce a fare carriera ma non si risolve mai a piantare il suo ufficio e ad andarsene. I tre sono amici e compagni di bevute, accomunati da una visione acida e risentita del mondo. Le cose per loro sembrano però cambiare bruscamente quando ritrovano, apparentemente abbondonata, una borsa contenente migliaia di rubli e di dollari, sicuramente proveniente da qualche transazione malavitosa non andata a buon fine. Il guaio è che la somma è sì cospicua, ma insufficiente a garantire a tutti e tre un avvenire di dolce far nulla. Tutti quei soldi non possono risolvere i loro problemi né sopire il senso di frustrazione che colora le loro esistenze. I tre ragionano e discutono a lungo e giungono infine a una prima conclusione: utilizzeranno almeno parte del denaro per migliorare la vita di qualcuno duramente colpito dalla sorte. Ma l’impresa si rivela presto molto più ardua del previsto. I potenziali beneficati
diffidano di quel denaro, sospettano qualche raggiro, temono vendette mafiose. Le buone intenzioni dei tre si rivelano un fallimento, un beffardo contrappasso. Finiscono per rinunciare a beneficare l’ingrato prossimo, decidendo di utilizzare quel denaro per partire, abbandonare la piccola città dove le cose non possono cambiare. Ma anche questo proposito si rivela meno facile da attuare del previsto. E il proprietario del denaro è sulle loro tracce… Si potrebbe anche sospettare che Il giorno dei soldi sia nato da un qualche intento moraleggiante, ci si può attendere, nascosto in qualche commento dei protagonisti, la facile sentenza che «il denaro non dà la felicità». Ma Slapovskij mira in realtà a descrivere il nuovo rapporto con il denaro nato in Russia con la caduta del regime sovietico, i problemi creati dai dollari «facili», che poi tali sono soltanto per chi intraprende attività illegali. Con apparente e stralunato candore Slapovskij racconta le regole rovesciate di una provincia russa attraversata da un’improvvisa venalità confusa e autolesionista, la nascita di nuovi ceti sociali e la paralisi e il tramonto di quelli tradizionali, la fine di un’utopia alla quale più nessuno credeva, sostituita da una coazione all’arricchimento e al possesso che per primi i suoi tre confusi e patetici personaggi rifiutano. Animato, vivace, ricco di episodi e osservazioni solo apparentemente innocenti, spassoso quanto sottilmente malinconico Il giorno dei soldi mostra evidenti riferimenti e debiti verso la grande tradizione letteraria russa alla quale Slapovskij rende omaggio riuscendo tuttavia a rinnovarla e vivificarla.
Aleksej Slapovskij, Il giorno dei soldi
Voland 2003, pp. 182, € 11.00, Trad. Francesca Guerra
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