Il romanzo di Isaure de Saint Pierre La Magnifica dell’harem (Piemme, 2004, ed. or. 2002, trad. Luisa Collodi), il cui titolo originale, La Magnifique, indica chiaramente la protagonista come la controparte femminile di Solimano il Magnifico; purtroppo quello italiano evoca il romanzo rosa, genere dignitosissimo ma spesso estraneo al rigore storico. La bellissima schiava circassa Rosselana (cioè «la russa»), infatti, fu per Solimano, non soltanto la favorita, ma l’unica consorte, la madre di quattro figli e di una figlia, la consigliera e forse qualcosa di più, un’abilissima eminenza grigia. Solimano (1494-1566), detto dalla sua gente Kanuni, il legislatore, unico erede di Selim I (che aveva fatto uccidere gli altri figli per togliersi di torno eredi troppo impazienti), trascorse molti anni amministrando su incarico del padre una lontana provincia. L’autrice ce lo presenta ventiseienne, quando incontra e riscatta Ibrahim, un giovane schiavo poeta che diventerà presto il suo alter ego. Entrambi colti e appassionati, i due sono inseparabili, amanti e sodali, condividono potere e piaceri. La carriera di Rosselana da schiava dell’harem a sultana con il nome di Hurrem [Gioiosa] appare quindi ancora più eccezionale. Eppure, poco più che bambina ma già bellissima, Rosselana attira l’attenzione del sultano per la grazia e l’intelligenza, la curiosità e la risata irresistibile, diventando l’altro lato di un triangolo mai dichiarato: Solimano li ama entrambi e Hurrem e Ibrahim, pur detestandosi, sono costretti a fingere rispetto reciproco. Diventata presto madre di un maschio e salita di status, Hurrem comincia la lunga scalata al potere: tesse alleanze con personaggi eminenti come il potente e fedelissimo capo degli eunuchi neri, si informa su tutto, discute di politica con la medesima competenza di un visir, piano piano si rende indispensabile a Solimano, seducendolo a ogni nuovo incontro ma offrendogli anche validi consigli e la serenità familiare che, nell’intesa fra uguali con Ibrahim, il sultano non può trovare. In 330 pagine densissime di avvenimenti, l’autrice condensa non solo la vita di persone a vario titolo eccezionali ma anche cinquant’anni di storia mediorientale ed europea. Con un occhio alle faccende di cuore e uno agli intrighi politici, alle guerre, alle conquiste, Isaure De Saint Pierre trascina il lettore dall’Egitto alle porte di Vienna, da Malta a Belgrado, per mezzo mondo allora conosciuto, senza concedergli requie e soprattutto senza fornirlo di alcune fondamentali chiavi di interpretazione; osservate solo dal punto di vista di Hurrem, le decisioni di Solimano – le guerre e le alleanze, la scelta dei ministri e rappresentanti, i favori accordati, gli assassini politici e le sentenze di morte (anche quella di Ibrahim) – sembrano prese più per compiacere la consorte o tenere occupati i terribili giannizzeri che per necessità politica. Quando alla fine chiude il libro sulla morte di Solimano, il lettore ha la testa che gli gira e molte più domande che risposte. Per quanto nella sostanza fedele alla Storia, Saint Pierre, rinunciando a descrivere, almeno in una breve introduzione, il contesto storico e i tratti peculiari della società ottomana ha mancato onorevolmente un obiettivo forse troppo ambizioso. Ed è un peccato perché Solimano e Hurrem furono contemporaneamente frutto di una lunga tradizione e rappresentanti di un cambiamento.
Innanzitutto Hurrem, nella sua eccezionalità, fu in buona compagnia: per circa 130 anni, tra il XVI e il XVII secolo, le favorite dei sultani riuscirono, dal mondo apparentemente chiuso e defilato dell’harem, a esercitare un grande potere politico, con tutte le prerogative reali tranne una: guidare le armate ottomane in battaglia. Questo periodo, noto popolarmente come «sultanato delle donne» fu caratterizzato da quattro grandi figure, tutte favorite reali e poi valide sultan, cioè madri del sultano – noi diremmo «regine madri». Ma Hurrem non si accontentò di questo potere indiretto: invece di lasciarsi mettere da parte come ogni favorita madre di un maschio (un uso ottomano che garantiva a ogni principe l’appoggio totale della madre, senza doverlo condividere con altri fratelli), legò a sé il Sultano, gli diede altri tre maschi e una femmina, si fece affrancare e infine sposare. Grazie ad abili intrighi e alle alleanze con alcune figure politiche chiave Hurrem «regnò» a fianco di Solimano, consigliandolo con prudenza, insinuando e suggerendo come avrebbe fatto un Gran Visir maschio e riuscendo alla fine a portare sul trono uno dei suoi figli. Ma Hurrem e le altre «sultane», per quanto donne di grande abilità e temperamento, non spuntarono come funghi: le donne reali furono sempre potenti nell’impero ottomano, prima o dopo il sultanato delle donne. Per tutti i seicento anni di vita della dinastia, le madri dei principi giocarono un ruolo riconosciuto come tutrici politiche dei figli e guardiane dell’harem. Lo stereotipo occidentale dell’harem come luogo di piacere per maschi padroni tralascia alcune importanti regole della élite sociale musulmana, come il fatto che le donne potessero controllare le loro proprietà e gestire direttamente i propri affari economici. Hurrem non fu l’unica «stranezza» di Solimano: il suo lungo regno (dal 1520 al 1566) segnò la transizione tra il periodo delle grandi conquiste e il lungo periodo di consolidamento di un vastissimo impero e di una popolazione multietnica e multireligiosa. Con lui la diplomazia e i trattati di pace divennero importanti quanto la difesa militare dei confini. E proprio in questo periodo di transizione l’harem raggiunse il più alto punto della sua influenza politica: le valide sultan sceglievano i Gran Visir, davano istruzioni riguardanti gli approvvigionamenti di guerra, le tasse e altre questioni di amministrazione dello stato e si occupavano delle istituzioni pubbliche. E non bisogna dimenticare, infine, che tutto questo accadeva in un periodo in cui anche in Europa emersero donne reali di alta capacità politica, come Mary Stuart, Mary ed Elizabeth Tudor, Caterina de Medici, e altre valide controparti vissero in Persia e in India. Se Saint Pierre avesse trovato modo di suggerire tutto questo nel suo libro, Hurrem, invece di apparire una formidabile autodidatta che si muove in un mondo di dilettanti, sarebbe apparsa per ciò che fu, la degna rappresentante di un mondo complesso del quale noi occidentali preferiamo serbare un’immagine banale e stereotipata.
Isaure de Saint Pierre, La Magnifica dell’harem
Piemme 2005, pp. 330, € 11,50, trad. Luisa Collodi
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