Le quattro casalinghe di Tôkyô, di Natsuo Kirino, edito da Neri Pozza con la traduzione (dal giapponese) di Lydia Origlia, si presenta come un noir atipico, nel quale vittima e assassino sono individui perfettamente, quasi lugubremente, normali. Un piccolo funzionario di una piccola impresa, marito sciagurato di un’operaia che lavora in una fabbrica alimentare nel turno di notte. Gente che ha problemi di sopravvivenza quotidiana, con figli da crescere e poche o nessuna prospettiva di migliorare le proprie condizioni di vita, resa ottusa da un ritmo di vita insostenibile e che sopravvive senza illusioni. Questa la condizione di Yayoi, moglie giovane ancora attraente tradita da un marito che non sopporta di vedersi finito tra le quattro mura di casa, ma anche la condizione della sua collega di lavoro Yoshie, vedova costretta a badare alla suocera paralizzata e con una figlia che la considera una povera idiota, della stupida Kuniko, piena di debiti per mantenere un tenore di vita che non può permettersi e di Masako. Ma Masako non è fatta della loro stessa pasta. Lavora nella loro stessa fabbrica, ha una vita familiare fallimentare ma ha buoni nervi, carattere e un cervello di prim’ordine. Sarà lei a permettere a Yayoi di uscire dalla situazione insostenibile nella quale si è cacciata, lei a condurre il gioco fino in fondo, guidando le azioni e i pensieri delle sue colleghe. Una donna come lei, forte, potente, intelligente è il soggetto ideale delle fantasie di Satake, proprietario delle sale da gioco dove il marito di Yayoi aveva sperperato i soldi della famiglia e che la polizia ritiene colpevole del suo omicidio. È il caso a incrociare le loro vite, ma sarà un’oscura pulsione a farli incontrare nelle ultime pagine del libro.
Una mia amica ha definito Le quattro casalinghe di Tôkyô un romanzo profondamente giapponese. Una definizione che sul momento mi è parsa curiosa, visto che questo genere di situazione drammatica – l’omicidio accidentale, il tentativo di sfuggire alla polizia, la sensazione di fallimento e colpevolezza che avvelena la vita di tutti i giorni – fa parte della tradizione del noir occidentale. Eppure qualcosa di vero nella sua frase indubbiamente c’era. Le protagoniste? Non si direbbe. Masako e la sue colleghe sono operaie con una vita tragicamente comune, difficoltà ad arrivare alla fine del mese, deluse o esacerbate per un matrimonio deludente o anche semplicemente indifferenti e logorate, a trascinare un’esistenza che non promette più nulla, ma nella quale ci sono comunque i figli da crescere, il pranzo e la cena da preparare, i bucati, le pulizie. Case troppo piccole, uomini distanti e frustrati, nemmeno il tempo per fermarsi, guardarsi, chiedersi «come abbiamo fatto a finire così?». Il luogo? Il Giappone di Natsuo Kirino non ha nulla di esotico. Esattamente come l’Italia, la Gran Bretagna o gli States è un luogo dove vita e destino coincidono e dove la gente ha smesso di farsi domande. E anche il versante illegale e clandestino di questo Giappone – l’usura delle piccole agenzia finanziarie, le sale da gioco, la prostituzione, la Yakuza – non ha nulla che non abbiamo già visto o letto, per esempio nei romanzi di Ferrandino. Ma la differenza, il salto esiste. C’è Masako, donna capace e intelligente, alle spalle una carriera spezzata e interrotta essenzialmente per l’essere nata del sesso sbagliato. E c’è Satake, l’unico personaggio maschile di rilievo del romanzo. Satake è stato un emissario della Yakuza, conosce la morte ed è perseguitato da un ricordo che è diventata la sua ossessione. Qualcosa di oscuro e inesprimibile – il filo che lega la morte e il desiderio – li unisce e diviene via via più evidente. Paradossalmente la malattia morale che li tormenta è anche l’unica forza che permette loro di non degradarsi a ordinarie vittime del mondo anonimo che li circonda, che li rende più forti, che concede loro di conservare una distanza dagli eventi sufficiente a poterli capire. L’ossessione del rapporto tra morte e sesso non è, ovviamente, un’esclusiva nipponica come il sushi, ma certo costituisce un elemento importante della sua estetica e della sua visione del mondo. Questo è probabilmente l’elemento che ci induce a riconoscere il romanzo di Natsuo Kirino come «profondamente giapponese». Ma Le quattro casalinghe di Tôkyô può colpire profondamente anche il lettore non particolarmente interessato o amante della cultura nipponica. Teso, acuto, talvolta grottesco o sardonico, sempre equilibrato e perfettamente condotto riesce a fornire una rappresentazione della condizione femminile – e umana – nell’era del capitalismo globalizzato destinata a rimanere a lungo nella memoria e nella coscienza del lettore.
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Natsuo Kirino, Le quattro casalinghe di Tôkyô
Neri Pozza, 2003, pp. 656, € 14,00, trad. Lydia Origlia
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qui una breve presentazione del libro di Zumbooks apparso su You Tube.
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