È piuttosto comune, nella letteratura divulgativa riguardante l’evoluzione dell’uomo (H. sapiens e specie che l’hanno preceduto), imbattersi nella parola «viaggio», utilizzata nel senso metaforico e invero un po’ poetico di percorso nel tempo, di «viaggio storico». Una volta tanto invece, in questo volume, a iniziare dal titolo, la parola viene proposta nella sua accezione più ristretta di spostamento delle popolazioni umane nello spazio, nella fattispecie in lungo e in largo attraverso i continenti a partire dall’area di presumibile origine. In questo saggio il soggetto è propriamente la nostra specie, Homo sapiens, l’uomo anatomicamente moderno, il cui percorso nel tempo e nello spazio inizia, secondo quanto è stato finora possibile stabilire, tra 200.000 e 100.000 fa. Se si esamina la storia dell’uomo non solo dal punto di vista dell’evoluzione anatomica e culturale ma anche da quello della diffusione della specie sulla superficie della Terra si finisce per confrontarsi con quattro principali questioni. A partire dal dato di fatto che oggi popolazioni umane, ognuna col proprio carico genetico e culturale, sono presenti ovunque sul globo e che questo dimostra un’innata e spiccata capacità di dispersione della specie (oltre a un’adattabilità rimarchevole a condizioni ambientali tanto variegate), viene spontaneo chiedersi: a) da dove sia partito questo processo di diffusione spaziale e se sia lecito parlare di un unico «centro di dispersione». b) quali siano state le strade che l’uomo ha seguito nella sua marcia lungo i continenti. c) quali siano stati i tempi di questo viaggio e quando l’uomo sia arrivato a colonizzare stabilmente le aree in cui oggi si trova. d) come abbiano potuto, piccoli gruppi di uomini tutto sommato «primitivi»,
soprattutto sul piano culturale e tecnologico, superare barriere importanti come catene montuose, bracci di mare o in alcuni casi vere e proprie distese oceaniche. Non si tratta di questioni semplici e ben lo sanno i paleontologi che da decenni si arrovellano attorno a questi problemi, avendo a disposizione una messe di dati che, per quanto in crescita continua, sono tuttora scarsi, sporadici e spesso di difficile interpretazione. Il ritrovamento di un osso o di un manufatto umano in una data regione, se da un lato costituisce, per sé, un dato di grande interesse, solleva in genere più questioni di quante ne risolva. Dal punto di vista della storia del grande viaggio che è il tema del libro, un reperto fossile, se correttamente datato, fornisce la prova che un uomo visse in quel dato posto in quel dato momento, ma ci suggerisce poche informazioni, ad esempio, sul quando e sul come ci sia arrivato e ancora meno sul luogo di provenienza. Oggi però la paleontologia umana dispone di strumenti d’indagine relativamente innovativi e molto potenti. Possediamo ormai un quadro sempre più articolato delle condizioni geografiche, fisiografiche e climatiche che hanno caratterizzato l’intervallo di tempo in cui si svolge il viaggio dell’Homo sapiens attorno al globo. Conoscere con relativa precisione la realtà fisica dei territori che l’uomo via via si è trovato ad attraversare aiuta a comprendere meglio quali strade l’uomo abbia potuto percorrere e quando. Le barriere geografiche non sono sempre state le stesse e non hanno sempre avuto la medesima potenza. Una fase glaciale ad esempio (e la Terra ne ha attraversate parecchie nelle ultime centinaia di migliaia di anni) comporta, da un lato, l’estensione della coltre glaciale sui continenti (soprattutto quelli boreali) e quindi l’inasprirsi di questo tipo di barriera, ma, d’altro canto, proprio per l’accumulo dei ghiacci continentali, viene sottratta acqua ai mari che quindi si ritirano. Ne consegue che determinati bracci di mare, per esempio quello dello stretto di Bering, si riducono fino a scomparire e al loro posto si formano ponti intercontinentali, o tra isole e continenti, che possono essere agevolmente attraversati. Un ulteriore potentissimo strumento di conoscenza in questo campo è oggi rappresentato dagli studi sul DNA. Non parlo dei frammenti di DNA, pur carichi d’interesse, che si possono estrarre dai fossili, ma di quello degli uomini attuali, che opportunamente studiato rivela un gran messe di dati a testimonianza della storia passata della specie. Il DNA è una molecola eccezionalmente stabile e contemporaneamente soggetta a mutazioni nella sua sequenza di nucleotidi. È stabile in quanto si trasmette sostanzialmente immutata da una generazione alla successiva, ma a ogni generazione si verifica un certo accumulo di piccole variazioni che restano in dote a chi verrà in seguito. Il DNA, organizzato in cromosomi, generalmente subisce durante i processi riproduttivi rimescolamenti dovuti all’incrocio dei due sessi. Almeno in due casi però questo fenomeno è assente: il primo caso è quello del DNA che si trova nei mitocondri, piccoli organuli presenti in tutte le cellule; i mitocondri dello zigote risultante dalla fusione dello spermatozoo con la cellula uovo, derivano esclusivamente da quest’ultima. In altre parole i nostri mitocondri (con il relativo DNA) derivano tutti, naturalmente per moltiplicazione, da quelli di nostra madre, la quale li ha ereditati dalla nonna e questa dalla bisnonna e via retrocedendo. Il secondo caso è quello del cromosoma Y che caratterizza nella specie umana il sesso maschile. Essendo presente solo nei maschi il cromosoma Y si eredita dal proprio padre, che l’ha avuto dal nonno e così via. Le mutazioni che compaiono casualmente in questo tipo di DNA, qualora non siano direttamente selezionate dalle condizioni ambientali, sono quindi particolarmente stabili, si fissano nel patrimonio genetico e «viaggiano» nel tempo da una generazione all’altra. Consideriamo ancora due aspetti: il primo consiste nel fatto che siamo oggi in grado di stabilire il tasso di mutazione del DNA e quindi inferire il tempo intercorso tra i successivi eventi mutazionali; il secondo è che possiamo (e in un certo senso dobbiamo) usare, nella logica interpretativa di un certo fenomeno, il principio di parsimonia (il libro fa giustamente riferimento al rasoio di Occam) per il quale la spiegazione da preferire, in assenza di argomenti che dimostrino il contrario, è quella che implica il minor numero di passi, vale a dire appunto quella più parsimoniosa. Semplificando al massimo il discorso, che nel libro viene invece affrontato a fondo e con perizia, si può dire che queste mutazioni, individuate nel genoma (soprattutto come si diceva mitocondriale e del cromosoma Y) possono essere adoperati come marcatori della storia delle popolazioni umane e possono essere validamente usati per ricostruirne le genealogie. Il libro fa perno esattamente su questo processo: i marcatori genetici permettono di ipotizzare (siamo e saremo sempre a livello di ipotesi, per quanto fondate!) le relazioni di parentela tra i diversi gruppi umani. Queste relazioni di parentela, che i biologi raffigurano in forma di albero (gli alberi filogenetici, appunto), vengono sovrapposte ai dati geografici e paleogeografici, corredati delle relative ipotesi cronologiche, e confrontati con dati provenienti da ambiti diversi di studio, per esempio la linguistica. Il quadro che emerge, tutt’altro che semplice peraltro, permette oggi di formulare le prime risposte alle domande che ricordavo in precedenza. E sebbene il lavoro in un certo senso sia solo all’inizio, prendono forma chiaramente scenari di estremo interesse, che il libro presenta uno dopo l’altro. L’origine africana della nostra specie, la precocità della marcia verso Est che portò l’uomo a viaggiare lungo il bordo meridionale dell’Asia fino a giungere in Australia, l’invasione dell’Asia orientale con un movimento a tenaglia che coinvolse due distinte linee genealogiche, l’ingresso nelle Americhe, via stretto di Bering, avvenuto tra quindicimila e mila anni fa, l’occupazione dell’Europa, prodottasi per tentativi successivi e resa ancor più emozionante dall’incontro con l’uomo di Neanderthal che vi era presente da decine di migliaia di anni e che vi aveva affrontato le grandi glaciazioni… Ecco, questi sono alcuni dei quadri che si è arrivati a dipingere con i pennelli di cui ho parlato. Costituiscono i capitoli di questo libro. Interessante e pieno di spunti, ben documentato e di lettura agile, nonostante lo spessore degli argomenti, senz’altro consigliabile, in particolare a chi, amante dei viaggi, voglia ripercorrerne uno veramente affascinante.
Spencer Wells, Il lungo viaggio dell’uomo
L’odissea della specie
Longanesi 2006, pp. 301, € 17,60, trad. L. Sosio
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