Con Il falsario (Thanatos, das schwarze Buch) di Helmut Krausser, Einaudi ci troviamo in provincia, negli anni novanta. Protagonista è Konrad Johanser, brillante studioso di letteratura romantica. Johanser è brillante, abile, puntiglioso fin quasi al maniacale ma è un alcolista e ha l’enorme difetto di essere un individuo rigido, poco simpatico, scostante, spesso aggressivo o intollerante. L’Istituto di Studi sul Romanticismo Tedesco lo tiene in altissima considerazione ma i suoi rapporti con tutti, superiori compresi, sono difficili. Konrad ha rapporti non facili anche con l’altro sesso, un matrimonio fallito alle spalle e una storia con una prostituta tossicodipendente che inutilmente (e paternalisticamente) ha tentato di «salvare». La possibile chiusura dell’Istituto e la crisi del matrimonio, giunti contemporaneamente, lo spingono a «inventare» alcuni documenti (carteggi, liriche ecc.) di autori tedeschi del Settecento, presentando nuove ipotesi e nuove acquisizioni che mettono a rumore il mondo accademico. La sua truffa rilancia l’Istituto ma Konrad, poco amato da tutti, viene messo alla porta sia pure con una grossa liquidazione. Solo e smarrito decide di andare in visita agli zii in provincia. Mentre la zia, Marga, lo accoglie con gioia, il marito Rudolf e soprattutto il cugino, Benedikt, non sembrano troppo contenti del suo soggiorno a Niederslingen. I giorni di sosta diventano settimane e Konrad, caduto in uno stato di tormentosa accidia, conduce una vita rattrappita, scandita dalle colazioni e dai pranzi a casa degli zii, lunghe soste alla locanda del paese a comporre fantasie di erotismo e umiliazione sulla cameriera del locale, Anna, per terminare la giornata nell’oblio indotto dal vino, la sera nella sua stanza. Benedikt, un sedicenne spigoloso e insofferente, diffida profondamente di lui e non perde occasione per manifestare la sua ostilità. Konrad cerca inutilmente di costruire un legame con lui e il fallimento con il ragazzo finisce col diventare l’ennesima prova del suo fallimento umano. L’autostima di Konrad, già gravemente minata, crolla definitivamente. Si dà a furiose passeggiate, più simili a feroci ubriacature che a un sano esercizio, mentre la sua percezione della realtà si fa meno salda. Ricordi, incontri, pensieri, desideri sfumano l’uno nell’altro e terrificanti sogni lo perseguitano. L’ex moglie gli telefona per avvertirlo che all’Istituto hanno scoperto i suoi falsi. Konrad è definitivamente diventato un reietto, inseguito dalla polizia e maledetto dai suoi ex colleghi. Intanto lo zio, Rudolf, dà crescenti segni di insofferenza al prolungarsi della sua sosta. La situazione precipita rapidamente e definitivamente quando Benedikt, beffardamente, gli fa capire che ha saputo ogni cosa di lui e del suo passato. Konrad perde il senso delle sue azioni e diventa incapace di integrare gesti, pensieri e ricordi in un quadro unico. Il suo personaggio – che il romanzo segue puntualmente – si frantuma in ricordi sovrapposti e divergenti, impulsi e fantasie, ansie e terrori.
Konrad Johanser è un personaggio oscuro, un individuo condannato. Narciso ma insicuro e autodistruttivo, è un violento inconsapevole, un frustrato incapace di trovare un canale di comunicazione con i suoi simili. Vive il sesso con l’autocompiacimento di un preadolescente e prova perennemente l’impulso di sovrapporre al rapporto con le donne reali le sue frustranti fantasie. L’averlo ritratto e narrato fino ai limiti della sua follia è una prova d’autore ammirevole. Narrare la crisi e la definitiva autodistruzione della personalità è forse il tipo di «cimento» che molti scrittori hanno progettato di condurre a termine. Krausser non nasconde alcun particolare della vita di Konrad, lo segue ovunque nei suoi gesti e pensieri, riuscendo a seguire lo stretto percorso che ritaglia tra la caricatura e l’inoffensivo bozzetto. Krausser annulla la separazione tra «autore» e «personaggio» – pur senza utilizzare la prima persona – adeguando agli scarti temporali e causali della percezione di Konrad il procedere della vicenda. E il lettore, dal momento del dialogo con Benedikt, perde insieme a Konrad il senso della realtà. Segue i suoi gesti e movimenti condividendone l’angoscia e il senso di smarrimento. Si aggrappa – il lettore – ai pochi momenti di lucidità e di apparente nitida percezione, per poi scoprire dopo breve tempo che è impossibile tracciare un confine tra realtà e fantasia. Negando la possibilità di riconoscere i brani di «percezione oggettiva» da quelli di delirio, Krausser vìola consapevolmente la convenzione che rende la narrazione «universo separato», obbligando il lettore a moltiplicare i suoi piani di percezione e di visione del reale. Il viaggio nella mente alla deriva di Konrad Johanser, der schwarze Buch, il libro nero, si rivela doloroso e disturbante, ma la ricchezza di suggestioni, l’impronta ossessiva e onirica del romanzo ne fanno un testo di grandissimo rilievo. Rimarchevole, infine, per accuratezza e scrupolo la traduzione di Giovanna Agabio che in più occasioni si trasforma in paratesto, illuminando le fratture linguistiche e le derive comunicative di Konrad Johanser.
Helmut Krausser, Il falsario
Einaudi Supercoralli 2002, pp.447, € 18,50
Trad. Giovanna Agabio
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