Parigi 1855, pochi giorni prima dell’inaugurazione della prima Esposizione Universale. La capitale sta terminando i preparativi per accogliere migliaia di visitatori, primi tra tutti la regina Vittoria e il principe Alberto, ospiti particolari di Napoleone III e consorte. Jules Verne, all’epoca giovanotto di belle speranze con la mente piena di idee e diversi manoscritti nel cassetto, mette insieme il pranzo con la cena scrivendo articoletti e commedie. L’amico Félix, giornalista del «Populaire» deciso a indagare sulle vere attività del famoso medium Will Gordon, lo trascina a una seduta spiritica segreta che si conclude con l’assassinio del medium. Nei giorni seguenti altre due vittime vengono uccise con le medesime raccapriccianti modalità: due colpi di pistola negli occhi. In qualche modo le morti sembrano legate alla nuova tecnica fotografica: accanto a Gordon viene rinvenuto un copriobiettivo, la seconda vittima sembra sistemata in posa davanti a una macchina di Daguerre, la terza è un fotografo dal passato un po’ losco. Dall’indagine ufficiosa dei due giovani, tallonati dalla polizia incaricata di garantire la sicurezza degli ospiti reali, emerge una vicenda complessa di banconote falsificate in maniera particolarmente ingegnosa e di esoterismo, condita dai vizi segreti della buona società parigina. Il giovane Verne, coinvolto anche in un affaire di cuore, si salverà per il rotto della cuffia ma, visitando l’Esposizione Universale, consoliderà la propria vocazione di scrittore positivista e appassionato di scienza. L’autore, che con questo libro ha voluto anche rendere omaggio a Verne nel centenario della morte, conduce la storia sul filo della verosimiglianza: nel 1850 il giovane Jules aveva lasciato Nantes per studiare diritto a Parigi (dove si sarebbe fermato ben ventitré anni) e nel 1855 scriveva brevi novelle per le Musée des familles (citato nel romanzo di Prévost); proprio a Parigi sarebbe diventato amico di Gaspard-Félix Tournachon in arte Nadar, uno tra i maggiori fotografi dell’Ottocento ma anche scrittore e fondatore di giornali, disegnatore, autore di ascensioni in pallone aerostatico (!) dal quale scattava le prime foto aeree.
Dal punto di vista narrativo, Le mystère de la chambre obscure, è una lettura piacevole, il cui maggior pregio non è di reggere discretamente il bandolo di una storia ingarbugliata, ma di mescolare vari generi – il giallo, il feuilleton (con tanto di fanciulle oneste in periglio nei bassifondi parigini) – e la storia «straordinaria» condotta tra avventura e novità tecnologica propria di Verne. Insomma è un gioco intellettuale ben documentato, che divertirà soprattutto gli appassionati di Verne con qualche frequentazione della letteratura popolare francese dell’epoca (Sue, Leroux). Prévost, associato di storia e docente in un liceo della regione di Parigi, non è nuovo a queste contaminazioni, ad esempio il detective protagonista del suo primo romanzo (I sette crimini di Roma) è Leonardo da Vinci. Il romanzo, oltre che un testo divertente (con forse qualche decina di pagine in più del necessario) è anche l’occasione per rivalutare le opere di Verne [1], spesso relegate alla letteratura per ragazzi, delle quale Bernard Werber ha detto «al di là dei temi meravigliosi, c’è un uso magistrale della suspense, del ritmo, dei personaggi e dell’intrigo», spiegando di apprezzare particolarmente lo scrittore «perché era una persona che aveva la percezione del futuro e che aveva compreso già che la scienza poteva far progredire l’umanità pur rappresentando un potenziale pericolo»
Guillaume Prévost, Jules Verne e il mistero della camera oscura
Sellerio 2005, pp. 368, € 11,00
trad. S. Leo, E. Musso
[1] Accanto al Verne positivista ed entusiasta della scienza, vale la pena ricordare quello più maturo, ammiratore appassionato di Poe, al quale dedicò un degnissimo saggio. Il saggista Bruno Traversetti, nell’introduzione a Verne (Laterza, Bari 1995) ha scritto: «Il reale contributo di Verne è l’aver interpretato la narrativa di Poe soprattutto come portatrice di illimitate opportunità avventurose e come territorio di una letteratura affidata alle tensioni estreme della ragione, all’eroismo, fanatico e superomistico, talvolta, della mente speculativa, ai giochi lucidi e inebrianti con l’intelligenza e con gli orizzonti ultimi del possibile». In particolare Verne fu affascinato da Gordon Pym, che considerò sempre un romanzo non concluso al quale dare un degno finale, cosa che fece nel 1897 con La Sfinge dei ghiacci, storia di una spedizione alla ricerca della nave Jane, sul quale era imbarcato Pym. L’itinerario dei soccorritori, il medesimo del romanzo di Poe, li porterà a schiantarsi contro una montagna antartica a forma di sfinge, attratti dalla sua spaventosa forza magnetica. La vicenda, che fornisce una spiegazione scientifica alla scomparsa di Gordon Pym, è a sua volta una notevole pastiche, che chiama in causa oltre a Poe anche il navigatore portoghese Trístan da Cunha (1460-1540).
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