In un viaggio senza meta e senza fine in contrade desolate, assediate da un gelo fuori stagione e crescente, l’anonimo narratore di Ghiaccio segue le tracce di una giovane donna senza nome, fragile e priva di risorse, che gli è stata sottratta da un uomo più maturo.
I tre cambiano identità ma non ruoli: l’uomo maturo riveste i panni dell’artista, poi quelli autorevoli di «governatore», il viaggiatore quelli di un innamorato deluso, di un pretendente respinto, di uno studioso, di un comandante delle truppe del governatore e lei quelli, sempre molto simili, di giovane moglie, di amante, di preda. Il fondale varia, mentre il viaggiatore abbandona l’automobile e si imbarca su navi e aerei, ruba auto più veloci per inseguire gli altri due. Ma nulla diventa differente: sempre il ghiaccio minaccia il mondo da vicino, afferra la ragazza nei crudeli incubi a occhi del narratore; sempre le città, le isole raggiunte sono desolate, abbandonate, ridotte a macerie, minacciate da nemici sconosciuti che premono alle frontiere. I tre, imprigionati in un inesorabile gioco di specchi, non riescono a liberarsi dei vincoli reciproci, lei sempre in mezzo, contesa dai due uomini legati da una inespressa affinità fatta di violenza repressa e volontà di possesso, quasi un pretesto per la loro relazione di conflitto.
Riflettendosi ora in questo ora in quel personaggio, osservandolo dall’esterno con gli occhi degli altri due, Kavan trascina il lettore nel mondo onirico della storia, lo chiama a complice, lo sfida a trovare, sotto la maschera di ognuno dei tre il suo viso. O il proprio.
Con ammirevole sapienza e padronanza stilistica, che non concede nulla all’esibizione, all’effetto, l’autrice conduce per oltre 200 pagine una recita angosciosa e fascinatrice, sfidando chi legge ad abbandonare la partita, a chiudere il libro. E vince – con me, ma anche con lettori del calibro di Ballard e di Brian Aldiss – mettendo in gioco se stessa, le proprie ossessioni e dipendenze. Apprezzabile la traduzione di Giuseppe Costigliola
Nata Helen Woods a Cannes nel 1901 da genitori inglesi espatriati, Anna Kavan crebbe in numerosi paesi europei, in Gran Bretagna e in California. Cominciò a scrivere in gioventù, fu viaggiatrice instancabile, pittrice di talento, decoratrice di interni e proprietaria di un’apprezzata galleria d’arte londinese. Divenne eroinomane nel 1926, pare in seguito a una forte depressione con collasso nervoso. Soffrì a intermittenza di disturbi mentali, subì numerosi ricoveri in clinica, durante i quali non smise mai di scrivere (le esperienze le offrirono materiale per uno dei suoi romanzi più noti: Asylum Piece), tento diverse volte il suicidio. Negli ultimi anni visse da reclusa, vedendo pochissimi amici devoti. Morì nel 1968, per un infarto.
Ossessionata da una madre ricca, seduttiva, remota e sfuggente, sulla quale modellò molte madri delle sue novelle, la sua vita è nettamente divisa in due periodi: prima della depressione e della dipendenza e dopo. Fu nel 1926 che, e, dopo alcune novelle tradizionali di buon successo, cambiò nome legalmente, assumendo quello di Anna Kavan, personaggio di una sua novella, Let Me Alone, che sentiva profondamente affine. Depressione e collasso nervoso la spinsero a cambiare vita, filosofia, stile di scrittura, elaborandone uno personalissimo e sofisticato.
Viaggiatrice e autoreclusa, decisa a cancellarsi dietro una rappresentazione letteraria di sé (prima di morire distrusse tutti i suoi diari e documenti), Anna Kavan è la personificazione iperrealista dello scrittore: nulla di sé deve trasparire oltre la letteratura, che però viene saturata di indizi e di porte attraverso le quali il lettore può accedere al mondo interiore di chi scrive, resistendo comunque alla tentazione di interpretare il testo semplicemente come specchio distorto della complessa situazione esistenziale dell’autrice.
Apprezzando l’iniziativa di Fanucci di proporci Ice, edito per la prima volta nel 1967, pochi mesi prima della morte di Ann Kavan, mi auguro di poter leggere altro di lei, anche Guilty, novella perduta e pubblicata postuma nel 2007 [1]
1 Altre notizie sull’autrice in
http://www.peterowen.com/pages/Authors/Anna%20Kavan.html
http://blogs.guardian.co.uk/books/2007/06/found_guilty.html
Anna Kavan, Ghiaccio
Fanucci «Vintage»,
2008, pp. 192, € 14,00
Trad. G. Costigliola
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