Questo libro è costruito come una città, come l’idea di una città. Mi piaceva che il titolo lo dicesse. Adesso lo dice. Le storie sono quartieri, i personaggi sono strade. Il resto è tempo che passa, voglia di vagabondare e bisogno di guardare. Ci ho viaggiato per tre anni, in “City”. Il lettore, se vorrà, potrà rifare la mia strada. È il bello, e il difficile, di tutti i libri: si può viaggiare nel viaggio di un altro? Quanto ai personaggi – alle strade – c’è un po’ di tutto. Ci sono uno che è un gigante, uno che è muto, un barbiere che il giovedì taglia i capelli gratis, un generale dell’esercito, molti professori, gente che gioca a pallone, un bambino nero che tira a canestro e ci becca sempre. Gente così.
City di Alessandro Baricco è un testo che si impone già dal risvolto di controcopertina, scritto dall’autore stesso, dove ci vengono illustrate le intenzioni di chi scrive, veniamo ammaestrati sul suo percorso estetico-letterario e infine informati sulle difficoltà incontrate nella stesura del testo.
Ed è veramente curiosa l’autoreferenzialità di queste poche righe, stese con uno stile ormai depositato (che è anche quello degli articoli sui quotidiani), fatto di esitazioni che vogliono suggerire simpatico imbarazzo, strizzatine d’occhio, appelli alla complicità di chi legge e divertita disinvoltura nel ribadire il proprio status autoriale. Con una simile autopresentazione è ovvio ciò che ci attende: un logorante e faticoso viaggio nello stile e nell’ispirazione baricconeschi.
Logorante e faticoso perché, se si è immuni al fascino dei tecnicismi stilistici di Baricco, è difficile non piombare addormentati, tanto poco interessanti appaiono le vicende del precoce genio adolescente Gould (cognome piuttosto ovvio), della sua tata Shatzi Shell e dei suoi amici virtuali, Poomerang e Diesel. Ma inutile lamentarsene, come tutti dovrebbero aver capito l’autore è molto sensibile al tema del genio solitario e incompreso, con per compagni creature di fantasie. Ingranata nella vicenda di Gould (che non si chiama Glenn e non fa il pianista) c’è quella del boxeur Larry «Lawyer» Gorman e quella delle sorelle Dolphin, zitelle nel West e formidabili tiratrici.
Di quest’ultima, a parte taluni risvolti sorprendenti ma non esattamente originali, ben poco resta al lettore. Il West di Baricco, grondante letterarietà e citazioni filmiche, è faticoso e prevedibile e l’interesse del lettore non abbandona mai lo stadio larvale. Diverso il discorso per l’epica sportiva incarnata da Larry Gorman e da Mondini, il suo allenatore. Qui il desiderio di leggere una storia, almeno una, trova finalmente sfogo. Unico ostacolo resta la vena sentenziosa dell’autore, che non può evitare di tallonare il lettore con le sue osservazioni a effetto, che finalmente spiegano la vita e la realtà a chi finora non aveva ancora avuto il bene di incontrarLo. Leggendo si avverte così la frequente esigenza di agitare la mano, come per scacciare un grosso moscone risoluto a guastare il piacere della lettura.
Probabilmente l’ostinata esibizione di una saggezza oracolare costituisce una delle ragioni che spiegano l’amore per Baricco di tanti lettori. Non fa parte dei miei compiti di recensore chiosarne i filosofemi, ma resta il fatto che, una volta spogliati della loro indiscutibile grazia stilistica, si rivelano sofismi, nei quali vengono maneggiate categorie ultime e definitive al solo scopo di affermare profondissime banalità.
«L’onestà intellettuale è un ossimoro (…) o comunque un compito altamente proibitivo e forse disumano, tanto che nessuno, in pratica, si sogna nemmeno di assolverlo, accontentandosi, nei casi più ammirevoli, di fare le cose con un certo stile…»
Probabilmente una delle affermazioni più sincere (e indicative) di tutto il libro.
Cosa resta in definitiva di City? Resta il formidabile talento combinatorio di Baricco, il suo «orecchio» per il ritmo di (irreali) dialoghi e riflessioni. In City si comincia però ad avvertire stanchezza e ripetitività. Si avvertono nell’uso fin troppo sapiente della punteggiatura e del meccanismo (elementare) del rimando a capo, nell’eccesso di forme colloquiali, nell’abuso di confidenza verso personaggi e lettori, nel profluvio di anacoluti, nella paratassi insistente e soffocante. Uno stridore di meccanismi che non era mai stato tanto evidente. In ogni caso orecchiabilità e capacità di rielaborare – o forse saccheggiare – le più diverse forme espressive, letterarie o no, in questo caso si rivelano del tutto sproporzionate alla storia narrata. City è una carcassa disseccata, l’ombra o il residuo di un romanzo, ciò che rimane della letteratura una volta evaporata la necessità di narrare. Uno spettacolo non bello per le anime sensibili.
Alessandro Baricco
City
Feltrinelli, Universale Economica 2007
pp. 266, € 8,00
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