Debbo ammettere di non conoscere troppo Orson Scott Card, autore del quale ho sentito dire meraviglie. E così, anche senza roventi appelli in favore della FS d’avventura mi sono letta, e con notevole piacere, il suo Il canto della Vita, editore Fanucci.
Tutti sanno che gli imperi galattici, da Asimov fino a Guerre Stellari, nascono direttamente dall’enorme suggestione di un’opera come Decadenza e caduta dell’Impero Romano di Gibbon, testo fondamentale per qualunque studente di lingua inglese. E O. S. Card non sfugge alla regola, così anche nel suo romanzo c’è un Impero Galattico dominato da un imperatore potente e spietato, ma… In questo “ma” c’è l’aspetto curioso e inquietante del romanzo. Dovete sapere, infatti, che tra i pianeti dell’Impero Galattico ve n’é uno che si chiama Tew dove c’è la Casa dei Canti, nella quale vengono addestrati gli Usignoli, singolari cantori capaci di evocare le emozioni più profonde. L’Imperatore Mirkal vuole un Usignolo per sé ma deve attendere finché Ansset, il più grande Usignolo mai arrivato alla Casa dei Canti non sia pronto per lui.
Essere un Usignolo è una strana condizione. Comporta, innanzi tutto, la rinuncia alla propria condizione di adulto, cioé la condanna a vivere in un corpo di adolescente e, in secondo luogo, la rinuncia alle proprie emozioni per mantenere viva l’empatia verso le emozioni altrui. Infatti tra tutti i cantori gli Usignoli sono ben pochi, perché ben pochi sanno unire una così perfetta intuizione degli stati d’animo altrui al talento di evocarne di nuovi soltanto attraverso il canto.
Il prezzo da pagare è comunque altissimo: Ansset conosce gli stati d’animo altrui ma non ne conosce i motivi, può influenzare i suoi ascoltatori ma non sa immaginare la pietà.
Al di là dell’intreccio, che conosce anche momenti di stanchezza e qualche battuta a vuoto, il romanzo è dotato di un potente fascino, almeno in parte dovuto, probabilmente, ad alcuni elementi decisamente inconsueti per la SF d’avventura classica. Ansset è un affascinante, meraviglioso androgino, capace di risvegliare pulsioni omo- ed etero- sessuali praticamente in tutti coloro che incontra. Tuttavia non può in alcun modo cedere ai desideri altrui, infatti la sua condizione di Usignolo gli impedisce di intrattenere rapporti sessuali. Il romanzo finisce così per essere la drammatica cronaca di un’adolescenza interminabile, quasi una biografia parallela di Farinelli raccontata – lo riconosco volentieri – con molto maggior genio.
Affascinante poi la descrizione della Casa dei Canti, un’istituzione totalizzante, a cavallo tra il convento benedettino e il monastero tibetano.
Curiosa, infine, l’evidente affinità tra il romanzo di O. S. Card e la fiaba di H. C. Andersen, L’Usignolo dell’Imperatore. Entrambi gli usignoli, infatti, sono essenziali alla vita dell’Imperatore ma non sono in grado di comprendere le sue paure e i suoi dolori, possono cantare ma non comprendere, possono amare ma non condividere la sofferenza…
Songmaster è stato pubblicato per la prima volta in America nel 1978 ma è arrivato in Italia sono nel 1997, ben diciannove anni dopo. Va bene, il romanzo non è perfetto, ma come mai ha trovato così tardi un editore in Italia? Non è che l’essere marcato da una così evidente polarità omosessuale lo ha reso poco appetibile agli editori italiani? In fondo siamo un popolo di veri machos, (e i lettori di FS anche di più) che non avrebbero mai sopportato una storia dolorosa e un po’ perversa… O no?
Va bene, lo so, volevo leggere un romanzotto d’avventura e invece mi sono imbattuta nella rivisitazione di una fiaba dai contorni sessualmente ambigui. Ma è colpa mia se gli scrittori di SF fanno i furbi e scrivono storie anche troppo raffinate?
Orson Scott Card
Il canto della vita
Fanucci, Libro d’Oro, 1997
pp. 313, € 12,91
Trad. Carlo Borriello
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