Michel Pastoreau
Blu. Storia di un colore
Ponte alle Grazie
€ 12,00
trad. F. Ascari
Si può scrivere una storia del colore, anzi, di un colore? Beh, vien da pensare, ormai si scrive la storia di qualunque cosa, materiale e immateriale, dalla storia della verginità a quella dei cicisbei, dalla storia della gelosia a quella del cavatappi. Ma non assumete un’espressione perplessa davanti a questo titolo, perchè scorrere le pagine di questo saggio, vi assicuro, «ça vaut le voyage». Il modo in cui i colori hanno influenzato, e influenzano, la nostra percezione del mondo è materia assai affascinante e lungi dall’essere completamente conosciuta. Il blu, ci dice l’autore, occupa poi un posto particolare nella gamma delle sfumature del visibile.
Nell’antichità i colori base erano il nero, il bianco e il rosso, il blu era un colore secondario, come del resto il verde e il giallo. Per i Romani il blu era il colore dei barbari (Cesare e Tacito ci hanno raccontato che di questo colore si tingevano Celti e Germani per spaventare i loro avversari), era un colore sminuente, o addirittura eccentrico, nonché associato alla morte e al lutto (avere gli occhi azzurri appariva un difetto), e una donna vestita di blu non era considerata proprio un modello di virtù. Nell’alto Medio Evo di blu (un blu sbiadito, si intende, tipo quello dei moderni jeans) si vestono solo i contadini. E avrete forse notato che i colori liturgici, quelli dei paramenti sacerdotali, normati alla fine del 1100 da Innocenzo III, annoverano il rosso, il bianco, il nero (sostituibile con il viola), il verde (rimpiazzabile con il giallo), ma non il blu.
Dal XII secolo le cose cominciano a cambiare, e per il blu comincia un’epoca di progressivo aumento del gradimento. Il blu diventa da allora il colore dell’abito della Vergine Maria, lo sfondo delle vetrate gotiche (a partire dalla cattedrale di Saint-Denis) e il colore dei re di Francia, nonchè della nobiltà che li attornia. Alla fine del Medio Evo il blu, nella maggior parte dell’Europa occidentale, era considerato il colore delle classi patrizie, prendendo così il posto del rosso, un tempo colore imperiale per antonomasia. Con il Rinascimento il blu e il nero erano ormai i colori dei ricchi, e severe leggi suntuarie ne limitavano l’uso da parte di numerose categorie sociali. Con la riforma protestante il blu, prima colore mariano e reale, assume i connotati di un colore «morale», come il nero. La rivoluzione francese darà un ulteriore impulso al blu, colore delle truppe che calcarono vittoriose gran parte dell’Europa del primo Ottocento. E seppure meno vistoso, convertito in grigio-azzurro (il blu troppo chiassoso dei pantaloni dei soldati francesi all’inizio della Grande Guerra causò migliaia di morti), sarà ancora il colore delle divise dei «poilus» nelle trincee di Verdun e della Somme. Nel XX secolo il blu è ormai il colore più portato nell’abbigliamento occidentale, ed è ragionevole pensare che un politico attento all’immaginario collettivo come Berlusconi abbia scelto l’azzurro non solo perchè il colore della nazionale di calcio, ma anche perchè il blu è l’unico colore che piace pressochè a tutti (e Silvio non vorrebbe essere da meno…).
Nel libro troverete descritte le diverse sostanze con cui è stato ottenuto il colore blu per i dipinti e i tessuti (il lapislazzuli, l’azzurrite, il guado, l’indaco, il blu di Prussia), le normative concernenti il lavoro dei tintori (nel Medio Evo ogni tintore era specializzato in un determinato colore), il dibattito tra teologi «cromofili e cromofobi» sull’uso del colore nelle chiese, ma anche la storia del tricolore francese, della bandiera rossa della Comune, e dei jeans. Per non parlare della complessità del modo di descrivere i colori presso i giapponesi o i centro-africani. Insomma, un libro veramente gradevole, nonchè economico (deriva da una precedente edizione illustrata del 2002). Da non perdere.