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    Mark Vonnegut – Eden express

    • di Massimo Citi
    • Marzo 16, 2008 a 6:07 pm

    Mark Vonnegut
    Eden express
    Piemme
    € 16,50
    trad. A. Carena

    La seconda metà degli anni Sessanta negli Stati Uniti è stato un momento a dir poco leggendario dell’immaginario non soltanto statunitense ma anche di quello delle generazioni europee dal 1950 in poi.
    Un momento intenso di speranza e di cambiamento che ha illuminato la vita di molti, il sottoscritto compreso, regalandoci sogni e desideri inconcepibili per le generazioni che ci hanno preceduto e, molto probabilmente, per quelle che seguiranno.
    Ma sulla battigia, dopo il passaggio della grande onda, numerosi sono rimasti i detriti.
    Fuor di metafora, molti – i coinvolti i testimoni e partecipi degli anni nei quali «si era dato l’assalto al cielo» – sono rimasti intolleranti, ipercritici, perennemente disadattati, qualcuno più cinico quindi pronto a cavalcare senza illusioni redditizie avventure, altri semplicemente acidi e disillusi, incapaci, come i reduci di una guerra perduta, di vedere e giudicare il mondo al di fuori delle categorie nate in quei giorni.
    Mark Vonnegut, figlio dello scrittore Kurt Vonnegut, alla fine degli anni Sessanta è, come molti giovani della sua generazione, un hippie. Profondamente ostile alla politica del governo degli USA, alla guerra in Vietnam e alla presidenza Nixon, professa pacifismo e amore universale, non vuole prestare servizio nell’esercito e sogna di costruire con un gruppo di amici / compagni una comunità autosufficiente in qualche angolo poco abitato del Canada. Stimolato dalla madre ha studiato religione per diventare pastore e della formazione religiosa ricevuta conserva l’impronta spiritualista e mistica, oltre che qualche problema non poi troppo piccolo sul piano sessuale.
    Mark e i suoi amici riescono alla fine a trovare una vecchia casa da riattare e abitare in British Columbia e coronano il loro sogno.
    La convivenza non è però idilliaca come nelle loro aspettative.
    Ed è Mark – ipersensibile, ombroso, ingenuo, entusiasta, volubile, impulsivo, facile ai sensi di colpa e al dubbio di essere inadeguato – a pagare il prezzo più alto per la loro nuova vita.
    Impazzisce. Sente voci, sperimenta deliri di persecuzione, si abbandona a confabulazioni, rifiuta di dormire per non cadere preda del misteriosa «faccia» che lo perseguita, non riesce più a nutrirsi e giunge ad affermare che la sua esistenza è un pericolo per la pace del mondo.
    È malato di schizofrenia ma, come afferma il grande neuropsichiatria Sacks, si tratta della sua malattia, ovvero della sua personale varietà di schizofrenia, un male che nasce e si nutre del suo universo culturale, dei suoi sogni e pulsioni.
    I suoi amici, cresciuti nella convinzione che la malattia mentale sia soltanto il risultato dell’alienazione indotta dal sistema economico, esitano a lungo prima di arrendersi e cercare il padre di Mark. Il giovane verrà ricoverato in manicomio, dimesso e successivamente ancora ricoverato e dimesso. La guarigione sarà lunga e complessa e nel processo Mark sarà costretto a ripensare e ridefinire la propria visione del mondo.

    Chi si attende un qualche legame narrativo tra Vonnegut padre e Vonnegut figlio resterà deluso, meglio dirlo subito.
    Il libro di Mark, divenuto pediatra dopo la guarigione, è il diario di un uomo che non ha troppe pretese narrative. È semplice (non facile), diretto, sincero fino all’autolesionismo. In qualche tratto doloroso e coinvolgente, in altri momenti malinconico, buffo o appassionato. Mark Vonnegut non mira a sorprendere o affascinare il lettore, mira, piuttosto, a ricostruire il suo personale percorso di visioni e illusioni senza condannare né se stesso né quegli anni, ma mettendo in evidenza quanto una visione della realtà e dei rapporti umani tanto impregnata di ideologia finisca per rendere la vita una gabbia di precetti e prescrizioni persino più rigida e oppressiva di quella imposta dal mondo familiare e produttivo.
    Il fallimento di Mark non è tuttavia soltanto un doloroso «fallimento» personale. Simbolicamente la sua schizofrenia rappresenta ed esemplifica l’agonia di una stagione di speranze presto distorte e consumate. I sogni di vita comunitaria, i nuovi rapporti umani, il nuovo-mondo-che-ci-attendeva è possibile si siano logorati prima che nei campus assediati dalla guardia nazionale nel labirinto degli equivoci, nei personalismi, nei sensi di colpa, nella fatica di vivere e convivere.
    Sicuramente uno dei libri più sinceri e onesti su quella ormai lontana stagione.

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