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    In primo piano · TerraNova

    Le botteghe color cannella

    • di Massimo Citi
    • Aprile 25, 2013 a 3:08 pm

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    Schulz è un artista poco noto in Italia. Un tentativo di pubblicare una traduzione de Le botteghe color cannella presso un editore italiano, condotto nel 1937 dall’autore attraverso un’amica e un mediatore italiano, fallì. Bompiani, Hoepli e Mondadori ritennero che il manoscritto non avesse caratteristiche tali «da aspettarsi un successo commerciale del libro».

    Le Botteghe color cannella uscì da Einaudi soltanto nel 1964, in un’edizione a cura di Angelo Maria Ripellino, quando Schulz era morto da ventidue anni:

    venne ammazzato per strada, durante un’«operazione selvaggia» della Gestapo all’interno del Ghetto [di Drohobycz], il 19 novembre del 1942, da un funzionario della Gestapo, Karl Günther, che si vantò del gesto, come vendetta per il fatto che il «padrone» di Schulz aveva ucciso il «suo» ebreo. Il corpo di Schulz non è stato mai più ritrovato. […] Se non fosse stato per l’instancabile opera di ricerca, intrapresa nel dopoguerra, dal poeta Jerzy Ficowsky […] non sapremmo quasi nulla di questo scrittore schivo e appartato, ripiegato sulla propria infelicità (dalla postfazione: Maturare verso l’infanzia di F. M. Cataluccio).

    Pittore e scrittore schivo e appartato, certo, ma anche estremamente attento alla produzione letteraria e artistica dell’epoca. Amico e corrispondente dello scrittore Witold Gombrowicz e del pittore Stanislaw Ignacy Witkiewicz, collaboratore di prestigiose riviste letterarie, autore della postfazione all’edizione in lingua polacca de Il processo di Franz Kafka, Schulz non si allontanò se non raramente e per brevi periodi dalla città natale, Drohobycz, un borgo della Galizia ex austroungarica.

    Di origini ebraiche Schulz era tuttavia un giudeo assai poco osservante e il suo interesse per la tradizione culturale della sua gente venne in conseguenza della stesura della sua prima raccolta di racconti. Pittore e scrittore, Schulz, come uno dei suoi maggiori modelli, il pittore e scrittore austriaco Alfred Kubin (cfr. LN 20), riteneva che scrivere e dipingere fossero modalità espressive contigue: «Si tratta di aspetti diversi di una medesima realtà. Il materiale, la tecnica esercitano una funzione selettiva».

    Bruno Shulz, autoritratto

    Bruno Shulz, autoritratto

    L’origine artistica di disegnatore è tuttavia evidentissima nei testi di Schulz, nei quali l’organizzazione delle descrizioni è il tema stesso dei racconti che nascono e crescono da e attraverso visioni che improvvisamente emergono dalla realtà più ovvia e quotidiana. Il narrare di Schulz è obliquo, assurdo, onirico, i luoghi, a cominciare dalla casa paterna, resi ambigui e minacciosi, distorti da un fantasticare febbrile che deforma la percezione e muta ogni sistema di riferimento. I personaggi vivono profondamente inseriti in questa metarealtà, scivolano sull’assurdo e sull’incongruo e, solo leggermente stupiti, ritornano a percorrerlo senza lamentarsene. Protagonista delle fantasie e delle metamorfosi di Schulz il padre Jacub Schulz, commerciante di stoffe di Drohobycz, figura centrale della famiglia e demiurgo delle perturbazioni oniriche che attraversano la casa. Oltre alla dimora paterna è il negozio di stoffe del padre a costituire il nodo delle visioni e delle materializzazioni dell’assurdo dei racconti di Schulz:

    Lo spazio del negozio si ampliava nel panorama di un paesaggio autunnale, pieno di laghi e di lontananze […] E in basso, ai piedi di quel Sinai sorto dalla collera di mio padre, il popolo gesticolava, imprecava, adorava Baal e contrattava. Affondavano le mani dentro le pieghe morbide, si drappeggiavano delle stoffe colorate, si avvolgevano in dòmini e mantelli improvvisati, e parlavano confusamente e senza posa.

    Il disordine, un disordine primordiale che richiama i momenti della creazione biblica, quando tutto è ancora possibile e nessuna partita è giocata una volta per sempre, è uno degli elementi centrali dei racconti di Schulz, un disordine del quale il padre Jacub è l’interprete, eternamente destinato a cedere all’ordine ormai calcificato del reale. Il mondo della piccola città si trasfigura di notte, la realtà cede il posto alla potenzialità sotto cieli che si immaginano finemente tratteggiati come quelli delle sue incisioni. E con il disordine cresce un desiderio confuso e distorto, la sessualità sfuma in attrazione, umiliazione, ansia, delusione. La potenzialità non permette esiti definitivi, promesse mantenute, sazietà dei sensi. I personaggi di Schulz, sia letterari sia figurativi, spasimano senza pudore e senza speranza ai piedi di donne indifferenti, custodi ultime del positivo e della causalità. Intorno a loro il mondo si moltiplica e si frammenta, la casa si popola di uccelli e di scarafaggi. Jacub, il padre, si manifesta in forma di crostaceo per essere bollito erroneamente dall’onnipotente serva Adela e fuggire, ormai cotto, nella città notturna.

    Un ironico e assurdo umorismo accompagna anche le visioni più inquietanti di Schulz, la religione dei padri, alla quale non riesce ad abbandonarsi, diviene oggetto di una blasfemia delirante e disperatamente comica.

    – Troppo a lungo abbiamo vissuto sotto l’incubo dell’irraggiungibile perfezione del Demiurgo, – diceva mio padre, – troppo a lungo la perfezione della sua opera ha paralizzato il nostro slancio creativo. Non vogliamo competere con lui. Non abbiamo l’ambizione di eguagliarlo. Vogliamo essere creatori in una sfera nostra, inferiore […] (Le botteghe color cannella, Trattato dei manichini).

    L’uomo che ride di Dio nel nome della solitudine e dell’infelicità, caratteristiche negate alla sostanza della divinità, che irride la lucida perfezione del Suo Disegno contrapponendogli una creazione minore, fatta di sfondi e di esseri umani soltanto parziali: «dal di dietro potrebbero essere semplicemente cuciti con una tela, oppure imbiancati», richiama alla mente Franz Kafka che legge ridendo agli amici le bozze de Il processo.

    «In questo romanzo Kafka ha descritto l’irruzione della legge nella vita dell’uomo», scrive Schulz nella postfazione a Il processo, dedicandosi poi a descrivere la legge postulata da Kafka in forma di regola, di convenzione.

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    Il suo rapporto con la realtà è del tutto ironico, perfido, animato da cattiva volontà – il rapporto del prestigiatore con la propria attrezzatura. Egli simula soltanto l’esattezza, la serietà, la sforzata precisione di questa realtà allo scopo di screditarla ancor più radicalmente.

    Ma, in omaggio alle regole non scritte della recensione – che è anche autodenuncia e manifestazione della propria poetica – ironia, perfidia, cattiva volontà animano anche la città notturna di Schulz, la stanza del padre, le esilaranti e agghiaccianti metamorfosi dei membri della famiglia Schulz, le palingenesi del negozio di stoffe. Il mondo quotidiano è «un’epidermide allentata priva di radici», l’epifenomeno pigramente apparente di un universo tuttora in corso di creazione. Il meticoloso delirio letterario di un uomo che non vuole accettare la piccolezza e la meschinità del mondo, che, anche senza speranza, ne ride.

    Bruno Schulz
    Le botteghe color cannella
    Tutti i racconti, i saggi, i disegni
    Einaudi, 2001, ed. or. 2001, pp. 406, € 19,00
    trad. Anna Vivanti Salmon, Vera Verdiani, Andrzej Zelinsky

    con uno scritto di Francesco M. Cataluccio

    idem, 2008, Einaudi Letture, € 24,00
    idem 1991, Einaudi ET, € 7,23

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