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    J. Turner – Spezie. Storia di una tentazione

    • di Obelix
    • Marzo 8, 2007 a 1:02 pm

    Jack Turner
    Spezie. Storia di una tentazione
    ArabaFenice
    € 19,90
    trad. R. Corradin e A. Schlüter

    Noce moscata, chiodi di garofano, cannella, pepe: nomi che un tempo evocavano immagini di terre lontane, esotiche, quasi mitiche ed irraggiungibili (quelle che adesso sono le Molucche, Sri Lanka, l’India). Nomi di spezie: non è un caso che la loro radice etimologica sia la stessa di speciale, erano merci di una natura particolare, molto costose, almeno per tutto l’evo antico ed il medioevo. Tanto che navigatori sufficientemente audaci si lasciarono trasportare dai venti tropicali su gusci di legno di dubbia tenuta, rischiando naufragi, combattimenti con popoli ostili e pirati, la morte per fame o per scorbuto. Al di là delle belle parole con cui nobilitarono le ragioni delle loro imprese, Colombo, Magellano, Vasco da Gama cercavano soprattutto una cosa, la via più breve e conveniente per procurarsi le spezie. Inglesi, portoghesi ed olandesi si scannarono con impegno per averne il monopolio. Chi riusciva nell’intento, infatti, poteva realizzare una fortuna. Eppure si trattava di beni per niente necessari, anzi assai voluttuari: perchè rischiare tanto per procurarseli e, soprattutto, perchè essere disposti a pagare somme tanto elevate per averli (al punto di provocare vere emorragie di capitali dall’occidente verso l’oriente)? Jack Turner, australiano appassionato di storia antica, ben versato in studi classici e giramondo per natura, cerca di ricostruire (e ci riesce molto bene) la storia e le motivazioni della ricerca delle spezie. Le quali trovarono certamente nei secoli passati molti utilizzi, in cucina, in farmacopea, nella preparazione di profumi, anche nella conservazione dei cadaveri (condire in latino significava preparare un corpo per la sepoltura, speziarlo, proprio come il cadavere di un pesce prima di cucinarlo e servirlo in tavola…). Ma la ragione primaria per cui le spezie erano così ricercate era rappresentata dal loro costo e dal loro esotismo: tramite il loro consumo, meglio se abbondante, si affermava la propria ricchezza, il potere, il distacco sociale dal resto del mondo, si respirava sulla propria pelle e si gustava sul palato il profumo ed il sapore d’Oriente, di carovane e convogli di navi che coprivano migliaia di chilometri ritornando da terre ignote ai più, in una catena di passaggi che solo poche persone potevano vantarsi di conoscere in toto. Il trionfo dell’effimero e dell’esotico, insomma. Per questi motivi nei secoli passati alle spezie sono stati assegnati talvolta connotati virtuosi (come la capacità di curare le malattie più diverse o di insaporire una dieta altrimenti monotona) e talaltra le stigmate del vizio (per chi vedeva in tanta ricercatezza e «mollezza» gustativa ed olfattiva i segni di un decadimento morale). Con la fine del XVIII secolo la possibilità di coltivare le spezie in altre zone del mondo e la loro maggiore disponibilità ne abbassarono i prezzi, mentre il mondo si faceva più piccolo e meno oscuro: la domanda si ridusse, e le spezie divennero merci simili a tante altre.
    L’autore sfata la leggenda che le spezie fossero usate nel medioevo per coprire i cattivi odori della carne andata a male (semmai potevano servire per attenuare il sapore troppo salato della carne: infatti all’inizio dell’inverno occorreva macellare il bestiame per mancanza di sufficiente foraggio, e salarne la carne per conservarla). La loro addizione nelle bevande alcoliche serviva invece a coprire il sapore inacidito del vino tenuto troppo a lungo nelle botti (fino all’avvento del tappo di bottiglia, avvenuto nel sedicesimo secolo, era arduo conservare a lungo intatte le proprietà organolettiche del vino o della birra). La cannella era molto utilizzata in epoca romana per la preparazione dei roghi funebri (in ricordo della mitica fenice, che dopo essere stata arsa su una pira di cannella risorgeva dalle proprie ceneri), veniva bruciata insieme all’incenso nelle offerte votive agli dei, e si diceva che l’ambrosia di cui si cibavano i residenti dell’Olimpo contenesse questa ed altre spezie.
    Tante altre interessantissime notizie come queste troverete nel libro di Turner, una cornucopia di informazioni raccontate con una buona dose di humour e con notevole competenza e capacità di analisi interdisciplinare. Se devo trovare una pecca, è l’eccessivo dilungarsi a volte su certi dettagli: l’autore sa un sacco di cose, e vuole rendercene partecipi, ma un lettore non particolarmente appassionato di storia può annoiarsi nelle lunghe descrizioni di come le spezie venivano utilizzate nei tempi antichi. Inoltre le cartine geografiche sono un po’troppo piccole e succinte. Ma resta pur sempre una lettura degna di essere sperimentata.

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