Silvio Bertoldi
Sangue sul mare
Rizzoli
€ 18,00
Il racconto della guerra sul mare possiede, inutile negarlo, un fascino che le abituali narrazioni di guerra raramente sono in grado di eguagliare. Di guerra si tratta, naturalmente, quindi d’un esercizio d’assassinio pianificato, ma a suo modo reso meno «sporco» dalla coesistenza con l’elemento dell’avventura di mare. Chi, da bambino, non ha vestito almeno per un paio d’ore i panni dell’eroico comandante di galeone, di fusta, veliero, fregata o corazzata, in compagnia di amici disponibili a giacere morti sulla tolda insanguinata, anche se non per più di un paio di minuti?
Il passaggio all’età adulta significa anche comprendere che su quelle navi – come sui più prosaici campi di battaglia – sono morte migliaia e migliaia di persone che avrebbero nella maggior parte dei casi preferito continuato a solcare i mari senza uccidere né farsi uccidere. Ed è probabilmente la combinazione tra «il fascino e la tragedia», come scrive l’autore, a rendere così avvincente la guerra in mare. Avvincente anche quando, come in questo caso, il libro non si allontana dallla falsariga delle battaglie navali più consuete e ormai (abbondantamente) narrate.
Chi cercasse in Sangue sul mare testi originali e episodi poco noti è destinato a una delusione. Sette le battaglie raccontate, anzi sei: Lissa, Trafalgar, Lepanto, Tsushima l’affondamento della corazzata Bismark, e il fallimento della spedizione dell’Invincibile Armada, dal momento che l’impresa di Alessandria d’Egitto si può considerare «battaglia» soltanto in senso lato. Neppure una riga è dedicata alle battaglie aeronavali del Pacifico (Midway, tanto per citarne una), né alle sconfitte della Supermarina mussoliniana nel Mediterraneo – che pure sono state largamente determinanti per l’esito della guerra in Africa settentrionale – né sulla più grande battaglia navale della storia per tonnellaggio e per numero di combattenti impegnato: Jutland. Questo senza contare – parlando dell’Antichità – battaglie come Salamina o, per venire a tempi molto più vicini a noi, l’affondamento della General Belgramo alle isole Falkland.
Insomma, o Bertoldi si riserva di scrivere una seconda parte del suo libro o si è limitato a riportare ciò che poteva narrare senza allontanarsi dal suo studio, limitandosi a volteggiare sulla sedia girevole e afferrando i libri più a portata di mano nella biblioteca alle sue spalle.
Ciò detto, va dato atto all’autore di di essere un vivace narratore e di essere riuscito, nonostante arrivi buon ultimo, a rendere ancora fresche e interessanti storie già più volte lette. Facendo un uso minimo di tecnicismi navali e marinari (con qualche inevitabile oscurità nella descrizione di schieramenti e posizioni), Bertoldi riesce a rendere con sufficiente efficacia il clima e l’emozione della battaglia, anche se ciò che sembra riuscirgli meglio è la descrizione dei personaggi e il racconto delle circostanze che precedono lo scontro. In questo senso i capitoli probabilmente più interessanti sono quelli che riguardano Lissa e l’odissea dell’Invincibile Armada.
La battaglia di Lissa, scaturita dalla necessità del governo del neonato Regno d’Italia di ottenere una vittoria a ogni costo e condotta con scarsa competenza da un ammiraglio anziano e incerto alla guida di una flotta composita formata da navigli del Regno di Sardegna, dell’ex-Regno di Napoli e dell’ex-Granducato di Toscana, fu un capolavoro di stupidità politica e militare. A pagare le conseguenze di confusione, insubordinazioni, manchevolezze e del comportamento criminale del ministero della Marina furono i 640 marinai morti a bordo delle due unità italiane affondate e capro espiatorio l’ammiraglio Persano al quale venne negata anche la pensione. Un brano che illumina alcuni vizi d’origine della classe politica italiana che a distanza di un secolo e mezzo sembrano tutt’altro che superati.
Non poi così diverso il discorso per la sciagurata invasione dell’Inghilterra decisa da Filippo II, nel senso che a un ammiraglio del tutto incompetente – pur se squisito gentiluomo – venne dato un compito nato da esigenze politico-religiose che nulla avevano a che fare con le necessità belliche. Esito della spedizione quello che tutti conosciamo e migliaia di morti sacrificati sull’altare della regia follia.
Per quanto riguarda gli altri brani ben poco o nulla che non sia capitato di leggere in altri testi o direttamente dalle fonti citate da Bertoldi (Franck Thiss per Tsushima – un decoroso riassunto – Zorzi e Granzotto per Lepanto, Kennedy per la Bismarck, Coleman per Trafalgar). Diciamo che il libro può rivelarsi un regalo azzeccato per chi fosse interessato ad accostarsi al tema della guerra marittima essendone digiuno o quasi.