Neil Sheehan
VIETNAM. Una sporca bugia.
(Piemme)2003, pp. 635, € 22,00
Ed. or. 1988, trad. Giancarlo Carotti
Un altro libro sulla guerra del Vietnam, annunciato dall’editore come il migliore mai scritto finora, vincitore di premi come il Pulitzer ed il National Book Award. Dopo averne letto le oltre 600 pagine, posso convenire che appaia come uno dei migliori, ma tutto è relativo, perchè a mio avviso la maggior parte dei libri scritti sull’argomento negli USA sono mediamente piuttosto noiosi.
L’idea è d’effetto: la narrazione parte dal funerale al cimitero di Arlington, nel 1972, di John Paul Vann, ex-colonnello dell’esercito USA, morto per un incidente in Vietnam mentre operava come consigliere capo per la pacificazione dei territori sud-vietnamiti. In quel giorno erano in pochi ad illudersi che il Vietnam del Sud potesse sopravvivere, ed infatti tre anni più tardi i tank nordvietnamiti sarebbero entrati a Saigon. Vann era stato uno dei primi consiglieri militari a sbarcare in Indocina dieci anni prima: dopo meno di un anno aveva capito che il regime di Saigon era profondamente corrotto, che occorreva riformare profondamente la conduzione della guerra ed attuare una vera riforma agricola che togliesse ai vietcong l’appoggio dei contadini. Ma i generali USA che seguivano la guerra a Saigon non sembravano rendersi conto di questi difetti strutturali, e preferivano trasmettere a Kennedy e poi a Johnson rapporti ottimistici circa l’imminente vittoria. I tentativi di Vann di comunicare al Pentagono le proprie contro-analisi della situazione esitarono nella sua emarginazione prima e nelle dimissioni dall’esercito poco dopo. Ma il Vietnam gli era rimasto nel sangue; dopo vari tentativi, Vann riuscì a farsi mandare di nuovo laggiù come funzionario civile addetto al miglioramento delle condizioni socioeconomiche dei villaggi degli altipiani centrali. In tale veste fece una rapida carriera, che gli consentì di acquisire gli stessi poteri di un generale di divisione, con migliaia di militari al suo comando.
Fortemente contrario ad una partecipazione diretta degli USA al conflitto, Vann era peraltro convinto della bontà della guerra in chiave anti-comunista e della possibilità di vincere attuando serie riforme sociali. Morì prima di vedere infrante le sue speranze. Sheehan gioca nel libro sulla sovrapposizione dei due destini, quello di Vann e quello del conflitto. La descrizione ed analisi delle varie fasi della guerra si alterna alla biografia dell’uomo, lasciando pian piano emergere nella narrazione le profonde contraddizioni dell’una e dell’altro. Sì perchè Vann, ammirato da molti militari e giornalisti per intelligenza, abilità professionale e coraggio, aveva una vita familiare disastrosa: donnaiolo impenitente, aveva tradito la moglie innumerevoli volte ed aveva sistematicamente trascurato la famiglia. Così scopriamo che la battaglia di Vann contro l’establishment militare era facilitata dal fatto che lui sapeva di essere al capolinea della sua carriera, macchiata da un precedente episodio di seduzione di minorenne. Dopo aver cercato di insabbiare il caso ed aver fatto giurare alla moglie il falso per farsi scagionare, Vann sapeva che comunque non sarebbe mai diventato generale. Ma non basta: Sheehan ci descrive anche l’infanzia infelice di Vann, il cui padre naturale non l’aveva riconosciuto legalmente, mentre la madre, prostituta ed alcolizzata, gli aveva reso la vita un inferno. Ed è qui che si rimane sconcertati: cosa c’entrano gli affari privati del signor Vann con la guerra in Vietnam? In altri punti invece si viene assaliti dalla noia, quando ad esempio l’autore ci descrive meticolosamente i combattimenti, senza peraltro l’ausilio di cartine.
Così l’analisi della genesi, evoluzione e crisi del conflitto, che costituisce la parte pregevole del libro, viene diluita da divagazioni tediose o gratuite. (Obelix)