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    Grigio

    Sotto il selciato NON c’è la spiaggia

    • di Silvia Treves
    • Gennaio 27, 2012 a 11:29 am

        Prima di parlare di questo libro devo premettere che:
    1) Ho un debole per Trieste, mi piacciono la sua laicità, il mare che penetra nella sua  grande piazza, la spiaggia a scogli che quasi diventa parte della città, le stradine  in salita, i vicoli, i dintorni pieni di storia. Sarebbe bello vivere a Trieste… ma temo che  questo progetto  sia destinato  rimanere una fantasia:  vivo in un’altra città che apprezzo,  non sono il tipo che se ne va «in pensione» e ciao e, infine, l’attuale governo non pare voler fare a meno di me tanto presto.
    2) Sono convinta che il thriller e i suoi vari sottogeneri – il poliziesco, il giallo deduttivo, l’hard boiled, il noir –  permettano di studiare la società dal basso e di esplorare luci e ombre dentro di noi. Però, come tutta la narrativa di genere, anche il giallo deve rispettare le convenzioni che la definiscono e ne formano l’ossatura, tra le quali: mai troppi «casi» da risolvere nel medesimo romanzo, mai troppo spazio dedicato alla vita privata del detective (sì, invece, al passato del cattivo, che permette al lettore di scoprirne l’umanità e le somiglianze con se stesso). Ma soprattutto (e vale per tutta la narrativa) MAI romanzi a tesi, scritti per dimostrare qualcosa; se l’autore ha qualcosa di fondamentale da raccontare, emergerà, che lui lo voglia o no.
    Danza macabra è il quinto episodio della serie che Veit Heinichen ha dedicato a Proteo Laurenti,  commissario  di polizia di origine salernitana ma  trapiantato felicemente a Trieste da lungo tempo. L’avvio è molto lento, prevalgono i problemi personali di Proteo, appena lasciato dall’amante, ed entrano in scena i comprimari – Pina Cardareto, ispettrice giovane, ambiziosa e talentosa, l’ex medico legale Galvano, scorbutico ma geniale, Laura, la bella moglie in carriera di Proteo – e i deuteragonisti, i fratelli Tatjana e Viktor Drakic, criminali pieni di risorse e senza scrupoli che Proteo ha già incontrato in passato.

    Finalmente, dopo una cinquantina di pagine, il romanzo prende quota e le cose (troppe) cominciano ad accadere. I filoni criminali che fanno capo ai Drakic sono molti e si mescolano: immigrati clandestini e lavoro nero,  spionaggio industriale, ideazione e commercio  di armi micidiali, riciclaggio di rifiuti tossici…  Per proteggere i loro traffici i fratellini hanno creato un’organizzazione efficientissima che si dirama in Italia e all’estero intrecciandosi con la politica  e arruolano ex militari sloveni superaddestrati («Per tre anni avevano combattuto contro i serbi sotto Trudjman e in situazioni simili i loro nemici non avevano mai vinto») che  uccidono senza battere ciglio testimoni scomodi e mirano a Proteo e alla sua famiglia… Naturalmente i «buoni», dopo innumerevoli rischi, la spunteranno ancora una volta.
    Il pregio maggiore di Danza macabra è la rappresentazione puntuale e dettagliata dei traffici che fanno capo a Trieste, città di frontiera alle prese con la difficile integrazione di nazionalità diverse, sospesa tra un passato glorioso, questioni aperte nella prima metà del Novecento e mai risolte  e un presente  di polo scientifico e tecnologico.  Interessi legali e illegali, commercio d’armi, smaltimento illegale di rifiuti altamente tossici si irradiano dalla città  verso l’Occidente e verso l’Est europeo e le giuste garanzie della democrazia spesso vengono usate a proprio favore dai criminali… Con chiarezza (e talvolta con pedanteria) Heinichen rivela e spiega. Il suo quadro è fermo al 2005 (il romanzo è del 2007), ma il lettore non fatica a immaginare quanto le trame si siano infittite nel frattempo.
    I difetti di Danza macabra sono però molti: la lunghezza (80 pagine in meno avrebbero solo giovato), l’eccessivo dilungarsi su questioni private, il ricorso al bozzetto nella descrizione dei personaggi: Pina Cardareto è continuamente descritta come «nana, nanerottola, la piccoletta», Galvano è risolto come un vecchio isterico che parla troppo, salvo rivelarsi a tratti geniale e generoso…  Nell’affastellarsi di avvenimenti, un paio di personaggi,  seguiti per numerosi capitoli e quasi ammazzati dai cattivi, vengono abbandonati nelle ultime pagine, tanto non servono più…   Proteo (ma perché chiamare Proteo un protagonista? Perché non Palinuro o Laocoonte, allora?) si esulcera per  la perdita della fascinosa e volitiva amante  e intanto  afferma di amare moltissimo la moglie, a sua volta (indovinate?) fascinosa e volitiva,  nonché  dotata di una pazienza inesauribile nei confronti del coniuge…

    Ratko Mladic

    In Danza macabra anche i  criminali sono semplificati: Tatjana, già ve lo immaginate,  è fascinosa e  volitiva, ma senza scrupoli, una donna in carriera  in versione dark,  mentre Viktor è il solito cattivo bello e per male, troppo colto per incarnare  il banale marciume dei paludosi anni 2000…
    Lettura sconsigliata, allora? Non proprio. Il libro testimonia un innegabile amore per Trieste ed è ben documentato.  Se non vi aspettate troppo e volete trascorrere un week-end  senza troppe pretese, sedetevi in poltrona e cominciate a leggere. Un saggio sul crimine globalizzato sarebbe senz’altro più ricco di spunti, ma anche più faticoso.
    E ricordate: sotto il selciato non c’è «la spiaggia», come proclamavano i situazionisti. Sotto il selciato, e soprattutto sotto il manto autostradale nel tratto Lubiana-Zagabria-Spalato,  potrebbero esserci 1.286.000 tonnellate di rifiuti ad alta tossicità, utilizzati come sottofondo stradale a bassissimo costo: si carica tutto su camion, i documenti d’accompagnamento fanno un giro di valzer tra  due o tre ditte puramente nominali (con buona copertura politica) e voilà, tutto riciclato.

    Veit Heinichen
    Danza Macabra
    E/O 2008, ed. Tasc.  2010, pp. 296, € 9,00
    Trad. M. P. Romeo  ed E. Tonazzo/Grandi & Ass.

    1. I traffici illegali di confine raggiungono, talvolta, una loro grottesca genialità,  come il carico di casse da morto ucraine a prezzi straccati, destinate alla «Germania in crisi» o i container pieni zeppi di protesi dentarie contraffatte in Turchia e spedite ai Paesi Bassi o i TIR carichi di tonache  da suore destinate al vaticano, griffate «made in Italy» ma in realtà taroccate dai cinesi.

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