di Davide Mana
Negli ultimi mesi, per motivi lunghi a spiegarsi, ho passato gran parte del mio tempo a leggere e rileggere testi sul taoismo e sullo zen.
Trascrizioni e traduzioni di vecchi manoscritti cinesi e giapponesi.
Interpretazioni e rielaborazion dei medesimi.
E siti internet su quegli stessi argomenti – dalla pagina web del monastero di Wudang alle farneticazione di strani scoppiatiche hanno imparato il kung fu guardando i film di Bruce Lee.
In questo modo, una passione oltre che ventennale è stata irrobustita e formalizzata.
E mi ha anche causato una sorta di sovraccarico.
Se le passioni devono diventare lavori, lo devono fare senza perdere il fascino, e la leggerezza.
Serve una pausa.
Per concedermi un momento di pausa e svago, vado perciò in libreria, mi fiondo nella sezione dei testi scientifici, e d’impulso acquisto una copia di Mindfulness e cervello, di Daniel D. Siegel.
Una bella edizione della Raffaello Cortina Editore, con tutti i tratti classici di questo editore – bel libro, buona carta, buona traduzione, bella copertina, un prezzo non proprio leggero.
Farà la coppia, mi dico, col libro di Daniel Dennet sulla coscienza letto il mese passato.
E invece…
Il libro di Siegel rappresenta un’introduzione a una recente ma piuttosto sviluppata branca della ricerca neuropsichiatrica e cognitiva che cerca di stabilire, da una parte, una base scientifica per gli effetti sperimentati da chi pratica la meditazione, e dall’altra di costituire un corpus di pratiche “laiche”, con lo scopo finale di utilizzare la mindfulness (traduciamola con “consapevolezza estesa”) come supporto alla psicoterapia, alle tecniche di studio e apprendimento, alla comunicazione ed alla costituzione di rapporti umani.
Il lavoro di Siegel è perciò un libro che riscrive in termini scientifici e “moderni” i contenuti “mistici”proprio di quei libri sul Tao e lo Zen dai quali cercavo una distrazione.
Non si sfugge al proprio destino.
Diviso in quattro parti – la prima sui dati disponibili, la seconda su alcuni esempi di pratica, la terza che cerca di mettere ordine inciò che si è acquisito nelle prime due, e la quarta che esplora aspetti della psicoterapia ed altre applicazioni del metodo – il volume copre tutte le basi, e lo fà, grazie al cielo, con un taglio estremamente discorsivo nonostante il rigore scientifico.
Il movimento (chiamiamolo così) che ruota attorno alla mindfulness è molto sviluppato nel mondo anglosassone, e può contare su un pool di dati estremamente ampio.
In prima battuta, lo scopo è quello di vivere il più intensamente possibile il tempo che ci è dato trascorrere su questa terra, senza lasciare che il “rumore di fondo” della vita quotidiana, o la nostra tendenza ad operare in automtico e scivolare nell’ennui ci rovinino la permanenza.
Dati alla mano, la pratica di questa disciplina comporta una modificazione fisica della struttura cellulare dei lobi prefrontali, e risulta particolarmente utile per recuperare soggetti sofferenti di disturbi psicologici.
E di fatto, non è in nulla – se non nel linguaggio utilizzato per descriverla – differente dalla pratica della meditazione zen, delle pratiche taoiste di meditazione e compartecipazione con la natura, o con gli antichi manoscritti del Kashmir sulla cosiddetta “centratura”.
Particolarmente interessante la considerazione sulla tendenza di alcuni a vivere “in automatico” – che suona come una rivisitazione in termini tecnici e sociologici di certi vecchi ammonimenti reperibili nel Chuang-tzu o nei lavori di D.T. Suzuki.
Ghaung-tzu |
I taoisti e i praticanti dello zen possono gongolare all’idea che le neuroscienze siano finalmente arrivate dove loro stavano – anche abbastanza comodi – da un paio di millenni.
E non si può che provare un certo divertimento, nel leggere la descrizione di lunghi seminari sperimentali, frequentati da fior di strizzacervelli, e che sono a tutti gli effetti – fin nel dettaglio – ritiri di meditazione buddhista.
E non era forse Richard P. Feynman a dire che gli psicoanalisti sono in fondo sciamani?
Ma polemiche culturali a parte, il libro è una lettura affascinante, con non pochi spunti per la riflessione.
E si occupa di psichiatria, non di psicanalisi.
Un buon libro, insomma, utile soprattutto per superare la diffideza di molti verso certi aspetti troppo “soft” delle filosofie orientali (e non solo), per scoprire le nuove frontiere della nostra conoscenza sul cervello (in fondo, il contenitore del nostro essere) o per osservare la versione scientifica dei precetti taoisti e buddhisti all’opera.
D. J. Siegel
Mindfulness e cervello
Raffaello Cortina, 2009, 363, pp. € 28,00
Trad. F. Gazzillo
A cura di G. Amadei