Gwendoline Riley
Carmel
Fazi
€ 9,50
trad. F. Bigotti
Gli uffici stampa delle Case editrici dovrebbero andare con i piedi di piombo, su certe cose. Nella fattispecie: tirare in ballo Sua Decadenza Charles Bukoswski per presentare l’esordio di questa 23enne inglese. Che di per sé è anche brava. Anzi: è brava, e senza troppe riserve, è fresca, sicuramente acerba, ma è quell’acerbo che ti fa godere del suo candore e della sua ingenuità (gli inglesi direbbero naivness). Un paio di romanzi ancora e Gwendoline Riley potrà dirsi una scrittrice a tutto tondo: ma non sarà mai una Bukowski in gonnella. E dubito che questa sia mai stata la sua aspirazione. La Carmel di Bukowsi farebbe la puttana in un sobborgo di qualche grossa e sporca e fredda metropoli industriale, avrebbe un fidanzato che spaccia crack e che beve e che la picchia e una 44 Magnum (come l’Ispettore Callaghan) sotto il cuscino con cui far fuori il suo magnaccia. O il suo fidanzato, all’occorrenza. E con ogni probabilità sarebbe perennemente sbronza. La Carmel della Riley è un’antieroina romantica della periferia di Manchester che lavora in un pub e soffre per essere stata abbandonata dal suo Tony, di cui rimembra le serate assieme, i drink consumati assieme, i concerti visti assieme. Una riot girl prigioniera della sua femminità: molto girl e poco riot. E soprattutto terribilimente incline alla normalità (o mediocrità, ma non in senso negativo): ogni tanto si sbronza anche lei, ma è poca cosa. Qualche amica, ma insieme non fanno Thelma & Louise. Qualche sbandato che circola nel locale, ma mica è Freddy Kruger. Un incontro fugace con un ragazzo americano, ma lui non è Brad Pitt e non ne viene fuori granchè. E il libro scorre così, in perenne attesa dell’effetto speciale, della tinta forte, dell’elemento piccante: salvo poi realizzare che questa Carmel è una Carmel qualsiasi, e la sua vita potrebbe essere quella di ciascuno di noi, poveri rispettabili personaggi impantanati in una realtà che Bukowski non avrebbe partorito nemmeno da sobrio.