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    TerraNova

    Estremo, gotico e molto freddo

    • di Silvia Treves
    • Aprile 24, 2012 a 9:35 pm

    di Silvia Treves


    Londra, gennaio 1937.

    La fine della Grande guerra ha trascinato via il lungo Ottocento europeo; è cominciato il secolo breve e già l’Europa, messa a dura prova dalla crisi del Ventinove, prova la durezza delle dittature. Il nazismo sta per mostrare tutta la sua efferatezza, nel volgere di pochi anni il mondo, che per ora sembra trattenere il respiro, sarà sconvolto da guerre più efficienti e perfino più barbare della Prima e il Male rivelerà la sua dimensione più quotidiana e banale. Eppure c’è ancora posto per la speranza, per i sogni e le ambizioni, ci sono luoghi ancora da scoprire, in attesa di eroi. L’Artico, ad esempio, nonostante alcune importanti spedizioni, è ancora in gran parte da esplorare scientificamente. Questo intendono fare i giovani inglesi protagonisti della storia, pieni di sé e imbevuti di valori tradizionali come «onore», «coraggio» e «patriottismo», troppo inadeguati e ambigui per contenere la violenza di fascismo e nazismo…

    Amici da sempre, ricchi e figli della buona borghesia inglese, i quattro hanno bisogno di un quinto compagno competente in radiocomunicazioni e in fisica, così offrono a Jack Miller di unirsi a loro. Ma Jack, ventotto anni densi di lavoro e di esperienze amare, viene da un ambiente molto differente: benché laureato è stato costretto dalla mancanza di mezzi a lasciare l’università e a trovarsi un lavoro molto al di sotto delle competenze maturate. Non trova simpatici i suoi nuovi compagni, è in imbarazzo per la propria povertà e non ha voglia di farseli amici.

    Indossavano pantaloni Oxford e giacca di tweed, e avevano quell’aspetto elegantemente sciupato che si acquisisce solo trascorrendo i weekend nella casa di campagna.

    Loro, del resto, sono capaci di offrirgli solo una cordiale condiscendenza che non cancella la distanza sociale che li separa. Dopo vari tentennamenti, Jack, che vuole disperatamente uscire dalla sua vita troppo stretta, si aggrega alla spedizione per trascorrere un anno nell’isola Spitsbergen, la maggiore dell’arcipelago Swalbard, impegnato in rilevazioni meteorologiche.


    Sole di mezzanotte, orsi polari, foche, il mondo ovattato dell’Artico, infinitamente lontano dalla quotidianità, questo vogliono Jack e i suoi compagni. Ma tutto comincia sotto brutti auspici: prima uno dei componenti si ritira a causa di un lutto, poi un altro si ferisce seriamente durante le operazioni di carico e deve tornare indietro. Da cinque, restano in tre, soli e male assortiti: Algie, un prosaico inglese di «sani» principi, superficiale e fanatico della caccia, Gus – che somiglia a un eroe e rivela, piano piano, un’onestà e una nobiltà d’animo di tutto rispetto – e Jack, con un pugno di husky, adorabili secondo Algie e Gus, «sudici e sovraeccitati» e incomprensibili per Jack:

    I borghesi e gli aristocratici hanno una vera e propria venerazione per i cani […] Fatto sta che no mi piacciono i cani, e che io non piaccio a loro.

    Spitsbergen, finalmente: spiagge cosparse di legname trascinato dalle correnti fin dalla Siberia, ossa arcuate di balena, gabbiani che stridono nel vento, miniere esaurite, casupole abbandonate dai cercatori d’oro.

    In un’insenatura, ho visto un palo che spuntava da un cumulo di rocce, con una tavola inchiodata all’estremità superiore, Ho pensato a una tomba, ma uno dei marinai mi ha detto che si tratta di un cartello piazzato per indicare una concessione mineraria.

    La loro meta, Gruhuken, si trova all’estremità nord-est dell’isola, ma il capitano della nave è riluttante ad attraccare e non vorrebbe far scendere i passeggeri.  Accetta solo  dopo molte insistenze, per onorare la parola data, ma lascia cadere qua e là mezze frasi che metterebbero in sospetto chiunque, tranne due inglesi ricchi e arroganti e un giovane senza altre speranze.

    «Sapere non è sempre un bene» ha risposto, sommessamente […] «Ci sono posti… perseguitati dalla sfortuna» […] «Succedono delle cose, là».

    Montata la baracca che sarà il loro rifugio per 12 lunghi mesi, sistemato il riparo per i cani e quello per le provviste, congedati i marinai, i tre cominciano a stabilire rituali quotidiani, orari, compiti e momenti di svago. Presto emergono le loro peculiarità,  Gus e Jack si scoprono spiriti affini: potrebbero diventare amici e forse qualcosa di più. Vengono a galla anche attriti che l’isolamento e il lungo inverno alle porte rendono contemporaneamente poco importanti e intollerabili. Ma il primo periodo è anche pieno di promesse: 
     

    Adoro Gruhuken. Amo la chiarezza e la desolazione di questo posto. Sì, ne amo anche la crudeltà. Perché è vera. E fa parte della vita. Sono felice.

    Pensieri incauti, perché l’essenzialità delle risorse, l’insospettata varietà delle forme di vita artiche,  le condizioni climatiche estreme mettono a dura prova l’umanità di chi le sfida. L’estate lascia il posto all’autunno e intanto si sfilaccia il precario equilibrio creatosi tra i tre e Gruhuken: «gli uccelli se ne vanno, le notti si allungano», la mancanza di tende della baracca diventa una piccola angoscia per Jack, che non riesce mai a chiudere fuori al notte… Poi il più improbabile degli imprevisti: Gus ha un attacco fortissimo di appendicite; la solita nave accompagnati viene a riprendere ma Jack, spinto dal desiderio di non deludere Gus, e  da un impulso assurdo, che i superstiziosi (o forse i saggi) definirebbero destino, si offre di rimanere per continuare le rilevazioni meteorologiche. Testardo e apparentemente capace di aver ragione dell’Artico e della sua lunghissima notte, Jack rassicura i compagni:  sarà una separazione temporanea, lo raggiungeranno presto, dopo l’operazione di Gus. Nessuno ascolta  il pesante silenzio del capitano.


    I primi giorni filano via lisci, soltanto un po’ più brevi,  più silenziosi, più inquietanti. I cani si rivelano presenze indispensabili, il loro latrare litigioso è un segno di vita al quale Jack non potrebbe rinunciare. E le notti si allungano, il sole è sempre più basso sull’orizzonte, poi scende ancora, diviene una pallida luce vuota che emana da est… infine soltanto la luna viene a rischiarare la pianura innevata e il mare sempre più ghiacciato del fiordo. E quando la luna è all’ultimo quarto… quando c’è luna nuova… quando anche la radio tace e la voce lontana di Gus non può raggiungerlo… Allora Jack è davvero solo. L’inquietudine diviene paura. L’assenza di esseri umani lascia posto a qualcosa di indefinibile e tenebroso…

    La scelta di Paver di ambientare un romanzo essenzialmente gotico in un luogo tanto peculiare e insolito si rivela vincente: il tempo lento di quel mondo estremo scardina i ritmi circadiani della nostra specie, comparsa ed evoluta decine di migliaia di km più a sud; l’esperienza della notte ininterrotta, di un silenzio continuamente sottolineato e mai spezzato dagli scricchiolii del ghiaccio e dai latrati dei cani ne fanno un metaluogo, dove ogni ombra pallida disegnata dal fioco brillio delle stelle è una presenza estranea minacciosa. Solo i cani sanno sopportare un tempo che pare fermo. E proprio ai cani, ad Isaak in particolare, si affida il protagonista per sopravvivere in quell’inferno alla rovescia.

    Paver riesce a legare profondamente le emozioni del suo personaggio al paesaggio scabro dell’isola e a trasmettere,  senza abbondare con il patetismo, un grande senso di smarrimento e  di rispetto per quella natura, per chi ha scelto di affrontarla – come il cacciatore di pellicce che viene ad alleviare la solitudine di Jack – e per i cani, forti e resistenti, capaci di dosare gli sforzi, di sopportare la stretta vicinanza dei propri simili correndo per ore e ore senza sfiancarsi, di  tollerare con dignità le pretese degli umani e perfino di legarsi a loro.


    Incisivo e scabro, La materia oscura racconta la crescente alterazione percettiva di Jack, l’amicizia che lo legherà per sempre ad Isaak e la malignità elementare  di qualcosa che non è Gruhuken ma che ne fa profondamente parte. Il romanzo ha l’andamento a vite di un gotico di alta qualità e, come i migliori libri del genere, è percorso da una senso di colpa e di peccato totalmente umani. Paver è un’artigiana talentosa, innamorata dei luoghi che descrive e che ha esplorato personalmente. Il suo personaggio è ricco per le manchevolezze oltre che per i pregi. L’afasia emotiva e la rabbia che hanno caratterizzato i suoi ultimi anni lo predispongono a soffocare le paure, a contare solo su se stesso, ma anche a provare per Gus, unico amico dopo tanto tempo, una dedizione totale che potrebbe perdere entrambi. E la rabbia e la solitudine, che lo hanno sorretto nella quotidianità londinese, lo rendono  bersaglio perfetto di una disperazione antica.

    Michelle Paver
    La materia oscura
    Giano, 2011, pp. 254, € 16,50
    Trad. Chiara Brovelli

    Qui sito ufficiale 

    Qui intervista e video con bellissimi lupi:
    Intervista sul romanzo qui:

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