Murakami Haruki scrive storie assurde.
Apparentemente incoerenti, sicuramente assurde, compenetrate di elementi e concatenazioni pseudocausali tipiche dell’attività onirica piuttosto che della realtà. I suoi intrecci vivono e si animano grazie a ricordi forse illusori, a coincidenze degne della sincronicità junghiana, a riferimenti remoti che il lettore non può che accettare senza ulteriori prove o dimostrazioni. Murakami gioca sul tavolo della narrativa senza barare ma anche senza concedere troppo a chi legge. «Se non hai voglia di crederlo, non crederci» sembra dica. Se non hai voglia di credere che un anziano e dignitoso signore sia capace di parlare – parlare davvero – con i gatti o che sia possibile innamorarsi del fantasma adolescente di una donna ancora viva o che esista un passaggio capace di condurti in un enigmatico Altrove presidiato da due disertori dell’esercito imperiale nipponico… O, ancora, che sia necessario, ancorché doloroso, uccidere Johnny Walker, il logo dell’omonimo whisky, o diventare amici di uno strano bibliotecario dal sesso indefinito… insomma, se non hai voglia di giocare al suo gioco con le sue regole puoi anche leggerti il solito fantasy o il solito thriller seriale.
Il personalissimo, inquietante fantastico di Murakami Haruki ha tuttavia regole certe, sponde e riferimenti ben definiti. Tutto ciò che accade nei suoi romanzi ha come cornice il mondo quotidiano. Cucine, piccoli studi, computer, televisori accesi, libri, giardini condominiali, ascensori, parchi cittadini. L’elemento esotico è assente o ridotto al minimo. Nessuna magia e nessun messaggio morale, niente profeti e nessuna mistica. È facile invece cogliere da mille piccoli indizi un vivo senso di trascendenza e una sottile, insaziabile passione per la morte. Una morte tuttavia molto diversa da quella abitualmente concepita e temuta nel nostro mondo. Una morte che non è negazione, tenebra e opposto ma condizione e passaggio, capace paradossalmente di rasserenare grazie alla semplice certezza della sua esistenza.
Raccontare ciò che accade in Kafka sulla spiaggia – tanto per ritornare nell’alveo della recensione propriamente detta – non è tanto difficile quanto inutile. Per sommi capi si può dire che si tratta di due vicende che corrono parallele, unite da legami sottili e oscuri. Dell’una è protagonista e io narrante in prima persona il quindicenne Tamura Kafka, dell’altra l’ormai anziano Signor Nakata, completamente analfabeta ma capace di parlare con i gatti e dotato di un talento sciamanico che gli permette di avvertire come elementi della vita quotidiana segni e manifestazioni dell’Altrove. Se la condizione di Tamura è quella del fuggitivo, alla ricerca di una risposta ai tanti enigmi della propria infanzia, ardue prove attendono il Signor Nakata e il suo amico Oshino, chiamati a fungere da demiurghi tra il nostro mondo e l’Altrove.
Persone comuni, che potrebbero essere state scelte a caso in un gruppo in attesa alla fermata della metropolitana, investite di una responsabilità straordinarie. In apparenza un topos tipico della letteratura fantastica – basti pensare a un certo Frodo Baggins – ma che Murakami rivisita interamente a modo suo, senza fornire ai suoi personaggi strumenti adeguati alle prove che li attendono ma lasciando che sia la loro inconsueta attitudine all’ascolto, la loro curiosità, la loro ingenuità a salvarli e salvarci. Tutti possono essere eroi, nei mondi di Murakami Haruki. Come nel miglior Chesterton, basta probabilmente saper vedere il mondo con occhi nuovi. Tutti possono ma sono in pochi ad avere il desiderio di farlo.
Murakami Haruki
Kafka sulla spiaggia
Einaudi Supercoralli, 2008
€ 20,00
Einaudi Tascabili, 2009
€ 15,00
trad. G. Amitrano
da LN-LibriNuovi on line