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    Interzona

    Per saldare un debito

    • di Silvia Treves
    • Agosto 1, 2012 a 2:04 pm

    di Silvia Treves 

     

    Gore Vidal a 23 anni

    È di ieri, 31 luglio 2012, la notizia della morte di Gore Vidal, scrittore, saggista, drammaturgo e sceneggiatore statunitense, nato nel 1925. Il mio primo incontro con lui fu grazie a una copia di Myra Breckinridge, una commedia satirica del 1968, la cui protagonista è una grandiosa e splendida transgender che debutta al femminile accreditandosi come la vedova di se stesso, l’ex Myron Breckinridge ormai, a suo modo, scomparso. Rivoluzionaria nel senso più totale del termine, Myra agisce radicalmente per cancellare la virilità tradizionale e «riallineare i sessi», liberando le energie umane soffocate dai ruoli sociali e di genere. Un’opera provocatrice da ogni punto di vista che sfortunatamente io lessi di nascosto intorno ai 14 anni. Non ne capii granché e Myra, anche se indubitabilmente stava dalla mia parte, riuscì soprattutto a inquietarmi. Mi rimase impressa, però, tanto che – nell’incontro successivo di molti anni dopo – la apprezzai come meritava. Poi, per caso più che per scelta, frequentai poco Vidal. Parlando da lettore, la notizia della sua morte mi ha colto di sorpresa: «Ma perché non l’ho letto di più?». Seguono, in questi casi, pentimento e onorevole promessa di rimediare alla prima occasione, ma io ho già un’attenuante: la lettura di La statua di sale, recensito su LN-LibriNuovi n° 9, primavera 1999).


    Scritto nel 1947, quando, a 21 anni, Gore Vidal era già noto per un apprezzato romanzo sulla guerra (Willivaw), La statua di sale divenne immediatamente un caso letterario, piacque a pochi (C. Isherwood e, più tardi, Thomas Mann), scandalizzò i più e segnò profondamente il futuro letterario di Vidal.
    A 50 anni di distanza, ormai argomento di decine di saggi e tesi universitarie, resta comunque un romanzo unitario e concentrato, che si tiene rigorosamente lontano dal pathos; è freddo, cronachistico e ha il grande pregio – inquietante negli anni Quaranta dell’altro secolo – di esplorare le pulsioni e il desiderio omoerotico attraverso gli occhi e il corpo di un adolescente «tranquillo».
    A 17 anni Jim è un figlio della piccola borghesia ben educato, ha una famiglia come tante: un padre non più meschino e autoritario di altri, una madre incolore e acquiescente, trincerata nella fortezza del proprio spazio interiore. Di speciale Jim ha soltanto un bel corpo – che è anche un buon corpo, sano e affidabile – e la passione del tennis. I suoi obiettivi sono limitati: una casa per sé e un lavoro redditizio come maestro di tennis; per raggiungerli, è disposto a lavorare duro, senza cercare scorciatoie. Oltre non andrebbe, se non per realizzare il suo sogno impossibile: una felicità perfetta con Bob, amico, gemello spirituale e compagno di un giorno d’amore.
    Partito per ritrovare Bob, Jim attraversa mondi diversissimi: la marina mercantile, l’esercito durante la guerra, la Hollywood segreta e insieme spettacolarizzata dei divi gay. Diviene l’amante di due uomini di successo ma non ne approfitta, semplicemente aspetta. Attende di ritrovare Bob, di chiudere finalmente il cerchio. Diretto, poco speculativo, portato a vivere in superficie, Jim affina la propria sensibilità per non farsi ferire e per sopportare il lungo distacco. Il suo amore si nutre di assenza e non sopravviverà alla presenza ingombrante e deludente del suo oggetto.
    Tentativo ambizioso e di notevole rigore, La statua di sale è effettivamente «carente e sgradevole» eppure «commovente» come lo definì Mann.. È un romanzo squilibrato, a tratti nitidissimo. (l’unico incontro d’amore tra Jim e Bob, le pagine finali) e capace di restituire al lettore le emozioni confuse di un desiderio che diventa – per scelta ma senza grandezza – un destino. Più spesso è distaccato e disincantato, fotografia impietosa e priva di compassione di uomini troppo compiaciuti di sé e di (poche) donne troppo lontane/diverse da loro e/o concentrate su loro stesse per capirli veramente.
    Vidal ha scelto di descrivere più che di fare accadere e non nasconde il proprio giudizio etico. Mancano in molte pagine paesaggi, sensazioni che riverberino le emozioni dei personaggi, e compassione nei loro confronti. Gli uomini che cercano di venire a patti con il loro desiderio senza ammetterlo, costretti a fingere e a mendicare qualche ora di sesso a pagamento con corpi giovani sono tanto «veri» da forare la pagina, ma non spingono il lettore a identificarsi, magari a malincuore, con loro. Chi legge resta sempre e solo Jim, la statua di sale che li osserva e lascia fare e mai, nemmeno una volta, prova qualcosa – qualunque cosa – per uno di loro.

    Queste due scelte narrative – il distacco dalle emozioni più profonde dei personaggi e il giudizio etico che inchioda molti di loro – sono la debolezza ma anche una delle peculiarità più interessanti di questo romanzo riuscito a metà. Mi vengono in mente, per contrasto, altri libri, ad esempio City of the night, e Numbers di John Rechy molto più coinvolgenti, con il loro mondo di clienti e marchette, squallido ma sorprendente e talvolta pietoso. Ma con La statua di sale Vidal offe a noi lettori il ruolo di chi guarda vivere – anche noi statue di sale – senza partecipare, e dunque senza rinunciare a vedere, oltre alla trama, anche lo sfondo. 

    Gore Vidal
    La statua di sale
    Fazi 2009, pp. 229, € 9,50
    trad. A. Osti

    Gore Vidal
    Myra Breckinridge
    Fazi 2007, pp. 294, € 18,50
    Trad. V. Mantovani 

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