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    TerraNova

    Paese d’ottobre

    • di Massimo Citi
    • Agosto 16, 2012 a 4:44 pm

    Per una storia naturale della letteratura fantastica

     

    Spesso è solo questione di lasciar passare una quantità canonica di tempo per rendersi conto dell’importanza o, talvolta, della centralità di un libro. Un libro magari parso semplicemente discreto in prima lettura e che soltanto dopo, a distanza di anni, si rivela capostipite della produzione successiva.

    Parlo di un testo ripubblicato da Mondadori nella collana Piccola Biblioteca Oscar Mondadori: Paese d’ottobre di Ray Bradbury, ed. orig. 1943, trad. di Renato Prinzhofer.
    Ray Bradbury, autore di Fahrenheit 451, capolavoro della letteratura distopica, e di Cronache marziane, uno dei romanzi che ha segnato una netta svolta nella letteratura fantascientifica, è innanzitutto un abile artigiano e un attentissimo tessitore. Provate a prendere una delle sue pagine, una qualsiasi. Gli avvenimenti si snodano sotto gli occhi del lettore accuratamente sfumati, malinconicamente remoti, scanditi con un accortissimo alternarsi di piccoli gesti e sottili emozioni che un’improvvisa rottura renderà pateticamente vani. Il «modo», l’«accento» di Bradbury sono assolutamente inconfondibili, esclusivamente suoi. Anche quando racconta del futuro, Bradbury parla in realtà del passato prossimo, delle intense, irripetibili emozioni dell’ultima parte dell’infanzia. Fantasia e realtà in quegli anni sono a stretto contatto, l’una trapassa nell’altra senza resistenza e il mondo appare unico, per l’ultima volta completo anche se, inevitabilmente, minaccioso.

    La narrativa di Bradbury nasce proprio dalla zona di penombra, la twilight zone della tarda infanzia, il momento nel quale sedimentano i ricordi più profondi.

    Nei racconti di Paese d’ottobre è facile riconoscere i temi prediletti di numerosi autori e registi horror contemporanei, tra questi in primo luogo Stephen King che per affinità di atmosfere e suggestioni ne è forse il maggiore (e più degno) «debitore». Anche soltanto enumerando i temi ricorrenti di Bradbury – la casa-rifugio che si rovescia nel suo contrario (L’emissario), la nascita di un figlio divenuta imprevedibile minaccia (Il piccolo assassino), le attrazioni di un Luna Park di provincia come elemento scatenante della follia (Il nano, Il barattolo), l’estraneo dietro la porta della stanza al primo piano (L’uomo del primo piano), una gita che si trasforma in un incubo senza ritorno (In coda) – sono evidenti le assonanze e le affinità con la più recente narrativa del terrore. Al centro dei racconti di Bradbury, il Middle West nordamericano: puritano, conservatore e provinciale, l’America rurale della torta di mele e del tacchino per il Giorno del Ringraziamento, un mondo pieno di superstizioni non rimosse e di confuse ansie di rivalsa e successo.
    I personaggi dei racconti di Bradbury hanno ruoli familiari e sociali ben definiti: sono mogli, mariti, nonni, nonne, figli, fratelli e sorelle e sono agricoltori, rappresentanti di commercio, artigiani, piccoli commercianti, agenti d’assicurazione, casalinghe, insegnanti. Un piccolo mondo ordinato e pulito; anzi più che pulito: lindo e perfettamente prevedibile, dove gli eventi si ripetono senza sorprese e non esistono confusioni di ruoli.
    Non pochi autori americani – e tra questi molti autori di genere – hanno raccontato questo mondo scegliendo di farlo da un’angolatura estrema, periferica, nascosta. La confortante certezza del proprio compito diviene così rigidità dei ruoli, la sicurezza sociale diviene immobilità, le buone abitudini e le piccole morali segni e sintomi di ipocrisia e aridità, quando non di menzogna o di diabolica, ermetica illusione nata per coprire la vera, intollerabile realtà.

    Ray Bradbury

    Paese d’ottobre è un crocevia, uno snodo, un elemento fondamentale per la letteratura di genere americana scritta negli anni sessanta e settanta. La novità di Bradbury nasce dall’aver ambientato le proprie storie in un mondo fin troppo quotidiano, in una realtà provinciale e prosaica, mostrando come l’assurdo e l’orrido possano trovare facilmente in essa alimento e sostanza. Lontanissimi dagli esotici universi remoti e senza stelle di H. P. Lovecraft – di poco precedente – i farmer e i nonni di Bradbury sono i padri putativi di orrori in attesa su strade solitarie, tra una fermata dell’autobus e un vecchio semaforo, nascosti dietro porte scrostate dall’abitudine o nati da grembo di donna.

    Lo strumento principale per illustrare questa frattura è in Bradbury la scelta di una forma narrativa rallentata ed elegiaca, che spesso sceglie il punto di vista di un ragazzo. Il tempo della narrazione è il passato remoto, i dialoghi scarni, essenziali. Il distacco è il risultato di mille piccoli accorgimenti: calcolati anticipi e ritardi nel flusso della narrazione, digressioni, attente descrizioni e ricordi. Il lettore ha la tentazione di rilassarsi, di cedere al fascino delle fredde notti d’ottobre. Ma le frasi di Bradbury sono ricche di immagini come di presagi, di tracce, di memorie del futuro. Dopo poche righe si è già certi che qualcosa di strano è avvenuto e avverrà ancora, con la stessa certezza retrograda di certi sogni. A differenza di Richard Matheson, maestro della short storydel terrore, Bradbury non nasconde le sue carte, ma fa in modo di lasciare aperta fino a poche righe dalla fine la scelta della carta definitiva.

    Norman Rockwell – Chez le barbier 1950

    Lo so, abitualmente non mi occupo di horror e la lettura di questa antologia di Bradbury è stata un’incursione fuori dal campo che mi è abituale. D’altro canto Bradbury è, per quanto eterodosso, un maestro della SF. La fantascienza di Bradbury ha le curiose caratteristiche di una «nostalgia del futuro» che solo pochissimi autori hanno saputo interpretare, tra questi Cordwainer Smith – alias Paul Linebarger – un altro grande interprete di questa narrativa rarefatta, onirica e notturna. Un’emozione inconsueta che, una volta riconosciuta, diventa però impossibile da dimenticare. Debbo molto alle silenziose navi delle sabbie delle Cronache marziane, alla malinconica resistenza dei marziani agli invasori terrestri: probabilmente una parte non così piccola del mio immaginario.

    Scrivere queste pagine in onore di Ray Bradbury, scomparso nel giugno del 2012, è un modo – assolutamente inadeguato – per onorare almeno in parte questo debito.

    Ray Bradbury
    Paese d’ottobre
    Mondadori Oscar Piccola Biblioteca, 2001
    pp. 240, € 8,00
    Trad. R. Prinzhofer  




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    Tag: Fantascienzafantasticogoticonarrativa americanaRay BradburyRecensioniStoria naturale letteratura fantastica

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