Storia naturale della letteratura fantastica
di Davide Mana
Uno dei titani della letteratura americana del xx secolo (S. T. Joshi, 2004).
Qualunque cosa abbia Fritz Leiber, andrebbe imbottigliata e venduta agli aspiranti scrittori di fantasy (John D. Owen, 1999).
Per coloro che amano la grande letteratura, Fritz Leiber ha camminato sulle acque (Harlan Ellison, 1995).
C’erano due scrittori della generazione precedente la cui abilità e gli standard letterari dei quali [gli autori new wave] ammiravano ancora. Uno era Philip K. Dick. L’altro era Fritz Leiber, che per maestria di prosatore e spirito urbano continuava a sorpassare i nostri imberbi talenti. Provavamo assoluta reverenza per lui. E la proviamo ancora (Michael Moorcock, 1983).
Appare evidente che […] nessuno nel nostro campo può avvicinarsi a Fritz Leiber (Poul Anderson, 1975).
C’è un solo Fritz Leiber. Ne servirebbero altri venti (Damon Knight, 1970).
Non potrete dire che non vi ho avvertiti: ho amato ogni riga scritta da Fritz Leiber, prima come lettore comune (Lector vulgaris), per le trame e le trovate, per l’intelligenza e la cultura, e poi come lettore evoluto (L. sapiens), e come aspirante scrittore, per il linguaggio, la disciplina invisibile ma ferrea, per lo stile.
Fritz Leiber
L’ho amato anche quando ha tagliato e distrutto per sempre metà de I Tre Tempi del Destino, quando ha attaccato un finale posticcio a Ombre del Male per compiacere un editor amante del lieto fine, quando ha toppato di brutto (ne Il Grande Tempo) sostenendo che 100.000 metri sono 5,6 miglia, quando ha detto (dimostrato!) che Lovecraft era un autore limitato e cervellotico, quando ha scritto sciocchi articoletti «alla Asimov» su metodi mnemonici per pronunciare giuste le parole straniere, quando ha fatto invecchiare, rimbambire e morire Fafhrd e il Mouser. L’ho amato addirittura nelle orripilanti traduzioni fatte coi piedi che gli editori italiani ci hanno fatto sorbire attraverso i decenni – e per una traduzione decente ce n’erano dieci incomplete, sciatte, affrettate, incapaci di rendere la classe di un grande che giocava con l’allitterazione e non metteva mai un aggettivo nel posto sbagliato.
Ammetto quindi di non essere imparziale, quando si tratta di Fritz Leiber.
E chi potrebbe esserlo, poi?
Non si può essere imparziali con Dio, e Leiber fu l’uomo che di più si avvicinò allo status di divinità nell’ambito del fantastico.
Jack Williamson gli è sopravvissuto a lungo, e lo tallona stretto, insieme con Jack Vance, ma per ora Fritz Leiber resta irraggiungibile, riconosciuto unanimemente come uno dei più grandi scrittori che abbiano nobilitato il genere della fantascienza e del fantasy, e dell’horror e di tutto ciò che si trova negli interstizi fra questi generi, e oltre.
Lo stimavano tutti – gli autori di hard science fiction, i giovani arrabbiati della new wave, i fanatici di fantasy e i lovecraftiani della prima ora, i guru della fantascienza sociologica e i fan della space opera, quelli che amavano l’azione e l’avventura e quelli che dal loro fantastico volevano meno sensazionalismo e più letteratura.
Dove lo trovate un altro che fosse simpatico a H. P. Lovecraft e a William Gibson, a Isaac Asimov e a Michael Moorcock?
Isaac Asimov
Ora, è vero, parlare di simpatia, nel caso di Asimov, potrebbe essere eccessivo e fuorviante: è disponibile anche in Italia (nel vetusto Guida alla fantascienza, 1984) l’editoriale che Asimov pubblicò nel 1979, allo scopo di boicottare l’assegnazione del premio SFWA Grand Master a Leiber, che lo ricevette così solo nel 1981; l’articolo, a causa del quale per due anni il premio non venne assegnato, è un classico della tendenziosità mascherata da bonhomie, e caldeggia l’assegnazione del premio, in base a un dubbio principio di prima pubblicazione, al pur bravo Lester del Rey (che può ringraziare Asimov se il Grand Master gli venne assegnato solo nel 1990 – gli oscuri signori della SFWA hanno la memoria lunga).
Possiamo forse capirlo, se non giustificarlo: Ike veniva da «Astounding Science Fiction», dove o eri John Wayne o non campavi, mentre Fritz veniva dalla scuola «Unknown» (poi «Unknown Worlds»), dove c’era spazio anche per James Stewart, e per Douglas Fairbanks jr. Entrambe le riviste, curiosamente, erano guidate da John W. Campbell, l’editor leggendario al quale proprio Asimov costruì un monumento di articoli agiografici – e che Leiber usò spesso come bersaglio per le proprie satire.
Il fatto che Leiber fosse costantemente sulla cresta dell’onda ignorando o facendosi beffe di quelle che erano per Asimov le buone regole della scrittura fantascientifica (prosa piana e lineare, niente parole complicate, scienza esatta, caratterizzazione minima), a Ike doveva andare giù a fatica; ma nemmeno Asimov, che nei suoi saggi critici ignorava qualsiasi autore che non gli andasse a genio, ebbe mai la faccia tosta di escludere il sinistrorso e controculturale Leiber dalle proprie classiche antologie del meglio della fantascienza.
1 – Vita
Ci sono seggi stabili abbondanti, nel mondo moderno, e nel prevedibile futuro, per scienziati, ingegneri, meccanici ampiamente qualificati, pubblicitari, venditori e imprenditori. All’estremo opposto, ci sono sempre meno spazi per poeti, amanti e donne (Fritz Leiber, Utopia for poets and witches, 1970).
Fritz Reuters Leiber jr., nacque a Chicago, il 24 dicembre 1910, figlio degli attori shakespeariani Fritz e Virginia Bronson Leiber.
Studiò alla Chicago University (Psicologia e Fisiologia, membro della confraternita Phi Beta Kappa) e nel 1932, in seguito ad una crisi spirituale che lo portò ad aderire alla Chiesa Episcopale, entrò alla scuola di Teologia di New York; durante il seminario gli vennero assegnate due piccole parrocchie nel New Jersey, per le quali svolgeva le mansioni di predicatore e lettore laico. Dall’esperienza come seminarista e predicatore, Leiber emerse nel 1934, fermamente ateo.
Fritz Leiber in abiti di scena
Il giovane Leiber trascorse quindi alcune stagioni sul palcoscenico (1935-36), nella compagnia del padre, e in questa occasione incontrò l’attrice Jonquil Stevens, che sposò nel 1936.
Lavorò poi come insegnante di arte drammatica a Hollywood, dove suo padre si era trasferito dopo lo scioglimento della compagnia, e come editor, curando la serie di manuali The University of Knowledge e (fino al 1956) la rivista «Science Digest»; nel lavoro di editor Leiber stesso rintracciava le origini dei suoi successivi problemi con l’alcol. Pubblicava inoltre, nel poco tempo libero, una rivista letterario-filosofica filosocialista ciclostilata in cantina. Durante la guerra, in quanto obiettore di coscienza, supportò lo sforzo bellico lavorando di notte come controllore della produzione per la Douglas Air Craft Company.
Oltre alla narrativa, della quale ci occuperemo di seguito, pubblicò anche una gran quantità di saggi sul fantastico, pubblicati da riviste attraverso tutto lo spettro di rispettabilità letteraria – da malandate fanzine come «Locus» fino a capolavori patinati come «California Living», passando per «Playboy».
Tenne dei corsi sulla fantascienza al celebre Clarion Writer’s Workshop e all’Università di San Francisco.
Leiber fu partecipe di un ambiente culturale molto vivace: membro dei Science Fiction Writers of America (SFWA), intrattenne una breve ma intensa corrispondenza con H. P. Lovecraft, frequentò Thomas Mann e Clark Ashton Smith, e fu compagno di bevute di John Barrymore.
Fu schermidore, e un eccellente giocatore di scacchi (raggiungendo il livello di expert). Elencava inoltre fra i propri interessi (oltre a quelli visti fin qui) l’arte, l’architettura e la geografia urbana, l’astronomia, la metafisica, il backgammon, la storia. Fu un grande amante dei gatti, ai quali dedicò numerose storie (oggi raccolte in Gummitch and Others).
Leiber iniziò a scrivere narrativa per le riviste pulp («Unknown», prima, e poi «Weird Tales» e «Amazing Stories») nel 1939, emergendo ben presto come uno degli autori più eleganti e colti sulla piazza. Molti scrittori a lui inferiori hanno costruito carriere intere su idee che Leiber fu il primo ad introdurre, e il migliore a sviluppare.
La nascita di «Unknown» nel 1938 fu un evento sostanziale nello sviluppo del giovane Leiber come autore, e nell’evoluzione del fantastico – meno interessata alla tecnologia rispetto ad «Astounding», meno virata all’horror di «Weird Tales», Unknown pubblicava prevalentemente storie dal tono leggero, nelle quali il sovrannaturale era in qualche modo razionalizzato o aggiornato a un’ambientazione moderna. «Unknown» fu l’approdo felice di molti autori troppo razionali per abbandonarsi al fantastico indisciplinato dei pulp e troppo colti per scrivere storie senz’anima sulle avventure di ingegneri infallibili: oltre a Leiber, personaggi colossali e indispensabili come Kuttner, Sprague de Camp & Pratt, Williamson, Sturgeon.
Superati i propri problemi etilici – che lo allontanarono dalla scrittura nella seconda metà degli anni Cinquanta – Leiber tornò sulla scena in gran forma nei primi anni Sessanta, con una serie di opera di livello qualitativo molto elevato, e di estrema originalità (e vincendo subito un premio Hugo per il miglior romanzo).
L’opera di Leiber – in originale, o nelle traduzioni migliori – è perfetta per essere letta ad alta voce, e la comicità, se c’è (e c’è spesso) è ben calibrata, sapientemente dosata, perfettamente integrata nello sviluppo della trama.
Autore di circa 180 racconti (alcuni pubblicati con lo pseudonimo di «Francis Lathrop») e dodici romanzi, in totale appena una quarantina di volumi, Fritz Leiber ha lasciato definitivamente e irrevocabilmente San Francisco e la carriera letteraria il 5 settembre 1992, all’età di 81 anni, dopo un lungo periodo di malattia.
Ma sopravvive nella leggenda.
C’è l’oscuro, eternamente silenzioso, ignoto universo; ci sono le menti amiche-nemiche che gridano e sussurrano le loro storie e sempre cercano i tre miracoli – che le menti possano davvero toccarsi, o che il silenzioso universo possa parlare, narrare alle menti una storia, o (e forse è lo stesso) che ci sia una storia che funzioni che sia tutta fatti accertati, tutta realtà, senza illusioni e senza fantasie; e infine, solitario ramingo narratore, ci sono io (Fritz Leiber, The Button Molder, 1979).
Fritz aveva sempre affermato il sospetto che il suo vizio personale (non praticato!) fosse la necrofilia. Il suo funerale, al quale non partecipai, in parte rifletté questa considerazione. Una veglia a bara aperta. Ad un certo punto della serata, qualcuno mise in una mano di Fritz un bicchiere di whisky, e nell’altra una sigaretta. Era così che gli sarebbe piaciuto andarsene (Michael Moorcock, 1999).
2 – Opere
Forse il singolo principale contributo di Lovecraft [al fantastico] fu l’adattamento del materiale fantascientifico al fine di produrre l’orrore sovrannaturale (Fritz Leiber, The Acolyte, autunno 1944).
Amante del fantastico fin dalla giovinezza, Leiber scrisse anche storie di avventura e polizieschi. Nulla rimane tuttavia dei «pochi racconti polizieschi e qualche opera giovanile» citati da Lyon Sprague de Camp nel suo Literary Swordsmen and Sorcerers (1976), il primo serio (ma parziale) studio del genere letterario al quale Leiber aveva dato un nome.
Quelle storie sconosciute si annidano forse fra le pagine di qualche ignota collezione di pulp magazines e volumetti della Gold Medal, conservata chissà dove negli Stati Uniti, e mai sono state raccolte in un’antologia, per la dannazione degli adoratori.
Pertanto, chi studia e venera Leiber tende a concentrarsi sul fantastico, sulla fantascienza, sull’horror.
H.P.Lovecraft
Il fantastico è il paese delle ombre lunghe – la lunga ombra di Tolkien si staglia sul panorama del fantasy così come quella di Robert Heinlein si abbatte inesorabile sulla fantascienza, e l’ombra di Lovecraft domina l’horror. Fra questi, Leiber fu influenzato solo da Lovecraft e dall’entourage del Gentiluomo di Providence (Smith, Kuttner e Howard in particolare), tanto per motivi anagrafici quanto per personali inclinazioni e interessi. Leiber fu l’ultimo membro dell’informale circolo letterario che si raccoglieva attorno ad H. P. Lovecraft, col quale intrattenne una breve ma intensa corrispondenza (iniziata da Jonquil Leiber). Lovecraft era stato a suo dire un fan di Leiber sr., e dalle lettere al giovane aspirante scrittore emerge l’interesse dell’autore di Providence per il teatro.
A livello letterario, l’influenza di Lovecraft si può riconoscere in quasi tutti i lavori di Leiber, e il più recente ritrovamento nel campionario leiberiano, The Dealings of Daniel Kesserich(smarrito nel 1950, ritrovato e pubblicato solo nel 1997), mostra chiaramente una concezione e uno sviluppo lovecraftiani, così come il ciclo poetico (mai pubblicato in Italia) Demons of the Upper Air.
Nel corso degli anni, Leiber è anche stato uno dei critici più acuti e sensibili dell’opera di Lovecraft.
Come l’inglese Ramsey Campbell, altro grande autore post-lovecraftiano e critico esatto dei pregi e dei limiti del Maestro, Leiber passa ben presto dalla semplice imitazione di moduli di Lovecraft allo sviluppo di una propria poetica; questa include elementi tipici, come l’universo essenzialmente ateo e casuale, non riconducibile a semplici set di regole, siano esse scientifiche o metafisiche, ma li elabora attingendo ad altre fonti (come la psicologia jungiana e i modelli del teatro elisabettiano) che non appartenevano al bagaglio culturale di Lovecraft e di gran parte dei suoi seguaci.
A differenza di Campbell, d’altra parte, l’evoluzione di Leiber, da emulo dell’opera lovecraftiana ad autore pienamente padrone di sé, avviene nell’arco di una decina di racconti, non di una decina di anni.
2.1 – Sword & Sorcery
Certamente lei ha prodotto un esempio di fantasia cosmica particolarmente raffinata e distintiva che, per tutte le sue influenze cabelliane e beckfordiane, rimane essenzialmente sua (H.P. Lovecraft a Fritz Leiber, 19 dicembre 1936).
Il primo successo (e la prima pubblicazione) di Leiber, si è detto, è del 1939, con la storia Two Sought Adventure, per la rivista «Unknown»; sarà la prima nella lunga serie di avventure di Fafhrd e del Gray Mouser, personaggi che abbiamo già incontrato, quando parlavamo di fantasy urbano. Narrando le avventure di due sofisticati malandrini (modellati su Leiber stesso e sul suo amico Henry Price) in un mondo altrettanto sofisticato, la serie aggiorna i cliché usati da autori come R. E. Howard, e soprattutto Cabell e Eddison, aggiungendo elementi presi dalle fonti più disparate (dal dramma elisabettiano ai film di Erroll Flynn) e segnala l’avvento della sword & sorcery, un’etichetta che Leiber stesso usava per indicare i lavori di Howard, e che assumerà il significato di fantasy lontano dai toni aulici, e più interessato all’avventura che alle reminiscenze nostalgiche.
A differenza della heroic fantasy, la sword & sorcerytende ad essere meno testosteronica e più pensata, con personaggi meno stereotipati, mentre si distanzia dalla high fantasy di Eddison o di Tolkien per un approccio più terreno, una scala più limitata e un maggiore umorismo.
Urbane, idiosincratiche, comiche, erotiche, e umane, corrette con azione credibile e le inquietanti invenzioni di un maestro del fantastico, [le storie di Lankhmar] fanno apparire farraginosa e sciapa la maggior parte della narrativa fantasy odierna (William Gibson, 1997).
Il prototipo della sword & sorcery viene costruito da Leiber attingendo alle proprie letture giovanili e alle proprie esperienze teatrali, aggiungendo parti uguali di Fraser (Leiber è il primo ad usare consciamente Il ramo d’oro come base per la propria narrativa), Graves (Leiber fu fortemente influenzato dal ciclo di Claudio) e, più tardi, Campbell (la revisione del concetto di mito e di archetipo, fondamentale per comprendere le diverse fasi dell’evoluzione di Fafhrd e del Gray Mouser).
Senza infine trascurare un’influenza meno «alta» ma indiscutibile – quella sorta di filosofia hard-boiled e di ruvida saggezza noir che Leiber acquisì, chissà, forse dalle città in cui visse (Chicago e Los Angeles), o forse proprio dai lati più oscuri e materiali della propria biografia.
Il susseguirsi di questi modelli, che procede di pari passo con l’evoluzione degli interessi e della filosofia personale dell’autore, fa sì che le storie di Lankhmar, a differenza di tanti altri prodotti seriali, mostrino una straordinaria varietà di registri e di temi, andando dal poema in prosa cupo e introspettivo (The Bleak Shore) alla farsa (Under the Thumbs of the Gods), alla storia avventurosa pura (The Jewels in the Forest).
Il mondo di Newhon (No When, Nessun Quando, scritto a rovescio e con uno slittamento eufonico dell’acca), pur familiare, è completamente alieno, sia geograficamente – è una bolla nel mare universale, con i continenti che galleggiano sulla superficie interna – sia stilisticamente, se paragonato ai tradizionali mondi fantasy; in esso infatti convergono elementi classici e ellenistici (Lankhmar è l’Anti-Roma, la Città dalla Toga Nera), elisabettiani (politica e intrighi), del folklore europeo (la maga Sheelba vive in una capanna simile a quella della russa Baba-Yaga) e mediorientale (abbondano i bazar, le odalische, i ghul divoratori di cadaveri, gli stregoni pazzi), quest’ultimo mutuato da Le Mille e Una Notte,dal Vathek di William Beckford e dai racconti di Clark Ashton Smith.
Il pantheon di Newhon è particolarmente frizzante e pericoloso, e ha il pessimo vizio di immischiarsi nelle faccende degli uomini con insopportabile regolarità – pare che tormentare i mortali serva agli dei per compensare i propri complessi di inferiorità e sfogare le proprie beghe. Su tutti grava la tirannia del Caso e della Necessità.
Il mondo di Newhon è immaginario, ma rappresenta l’immagine di un mondo che è come è, non come dovrebbe essere. Gli eventi, e le storie, non hanno una facile morale da offrire ai lettori. Fafhrd e il Mouser, eroi pieni di debolezze molto terrene, che per vivere fanno i ladri (non per malvagità o per eroismo, ma perché è facile), vivono avventure straordinarie che finiscono malissimo. Ripetutamente.
Nati guascone celtico e cialtrone mediterraneo da un carteggio fra Leiber e Price, Fafhrd e il Mouser subirono varie trasformazioni, arrivando sulla carta, fin dalla loro prima avventura pubblicata, già maturi e ben sviluppati; rispetto alle fantasie epistolari, Fafhrd perse gran parte del proprio carattere celtico per diventare più scandinavo (pur mantenendo una malinconia tutta gaelica); il Mouser da levantino si fece più cosmopolita e distaccato, a tratti quasi orientale.
Entrambi i personaggi vennero resi graficamente al meglio da Michael Whelan per «Swords & Ice Magic» e dal giovane Mike Mignola per un adattamento a fumetti nei primi anni Novanta.
Il fatto che il Satrapo Pharnabazus di North Michigan Avenue l’abbia rifiutato – se così ha fatto – non ha relazione alcuna con la sua qualità (H. P. Lovecraft a Fritz Leiber, 19 dicembre 1936)
August Derleth
Su richiesta dello stesso Lovecraft, vari riferimenti al ciclo di Cthulhu vennero eliminati dalle prime storie (soprattutto dalla eccellente novella The Adept’s Gambit), rendendo la serie e il mondo di Nehwon completamente originali e indipendenti. Il Gentiluomo di Providence analizzò con estrema cura i manoscritti inviatogli da Leiber, fornendo un’analisi a tutto campo, pagina per pagina, nella lettera inviata al giovane Fritz il 19 dicembre 1936; la lettera è – tra le altre cose – un piccolo corso di perfezionamento per scrittori, e sottolinea ancora una volta il debito di Leiber nei confronti dell’autore più anziano.
Molto più tardi, Leiber avrebbe ricambiato il favore, analizzandone a fondo pregi (in A Literary Copernicus) e difetti (in The Whisperer Re-Examined) e infine difendendo il carattere extra-umano e supernormale (non soprannaturale) delle divinità che il Maestro gli aveva sconsigliato di usare, in un acceso dibattito con August Derleth, grande editore e più che mediocre narratore; questi aveva imposto, in una serie di collaborazioni postume con Lovecraft (in realtà, storie basate su appunti e frammenti di HPL) una interpretazione antropocentrica e manichea dell’universo lovecraftiano, degenerando nel ridicolo con l’introduzione di Cthylla, la sorella buona di Cthulhu. Il dibattito non venne mai risolto, ma oggi tradizionalmente la posizione di Leiber rappresenta l’ortodossia fra gli studiosi di Lovecraft – ed è in corso una battaglia legale per far rimuovere il nome di Lovecraft dalle copertine delle storie di Derleth.
Prima della revisione a opera del Maestro, Adept’s Gambit e Demons of the Upper Air vennero offerti a Farnsworth Wright, direttore di «Weird Tales» (che aveva sede in North Michigan Avenue), che li rifiutò.
Per un certo periodo, «Weird Tales» avrebbe sempre rifiutato i lavori di Leiber, prontamente acquistati invece da John W. Campbell per «Unknown», di solito col commento «Questa storia però sarebbe più adatta a “Weird Tales”».
Solo nel maggio del 1940 Leiber riusci a sbarcare su «WT», con The Automatic Pistol.
Vorrei che Two-gun Bob Howard fosse vivo per vedere questa eco dei suoi eroi virili e avventurosi. Spero davvero che un giorno una gran parte del ciclo di Fafhrd e del Mouser venga dato alle stampe – cominciando con Adept’s Gambit (H.P. Lovecraft a Fritz Leiber, 25 gennaio 1937)
Oggi, il ciclo di Fafhrd e del Gray Mouser occupa sette volumi (spesso riuniti in omnibus per la gioia dei lettori e dei collezionisti, che ne accumulano sui propri scaffali più e più versioni), la parola «Swords» – Spade – nel titolo di ciascuno; il ciclo include un solo romanzo, The Swords of Lankhmar, considerato da alcuni uno dei migliori romanzi fantasy mai scritti – e certo il miglior esempio di sword & sorcery sul mercato.
I topi di Lankhmar muovono guerra agli abitanti umani della città, scatenando carestia e terrore; assoldati come scorta per una flotta carica di grano, Fafhrd e il Mouser sono coinvolti loro malgrado nel conflitto, e con l’aiuto dei loro stregoni-mentori (il non troppo umanoide Ningauble, e la strega Sheelba), nonché di alcuni alleati inaspettati, assumono senza alcun entusiasmo il ruolo di salvatori della civiltà. Iniziato negli anni Trenta e completato nel 1961, per essere pubblicato a puntate su «Fantastic», il romanzo oscilla fra comicità e dramma, e si apre col botto (il leggendario «agguato» alla Porta della Palude) per chiudersi con un finale sorprendentemente teso, che mette in campo un arsenale sovrannaturale decisamente sopra le righe. Fra gli elementi più distintivi del romanzo, l’inopinata comparsa di un viaggiatore temporale tedesco in groppa ad un idra a due teste ghiotto di topi, venne inserita da Leiber affinché il contenuto della storia si conformasse alla copertina, già illustrata e con tanto di titolo (Schylla’s daughter), che l’editore aveva bell’e pronta.
The Swords of Lankhmar, che aggiunge un forte elemento di sofisticato feticismo sessuale alle sue molte altre virtù […] può considerarsi da più parti il miglior romanzo moderno di heroic fantasy, oltre che il miglior romanzo di Fritz Leiber (M. J. Edwards e J. Clute, 1993)
C’è molto sesso, in effetti, a Lankhmar e nel Mondo di Newhon, ma è molto intellettuale e ben poco grafico; alcuni critici non hanno mancato di sottolineare come Leiber sia stato il primo ad introdurre tematiche sessuali adulte nel fantastico popolare, mantenendo anche in questo caso un livello di maturità e sofisticazione raramente reperibile nel genere. Le donne di Leiber (che da sole meriterebbero un libro) non sono semplici ornamenti o motori passivi dell’azione, come la maggior parte delle donne di Howard e come il 90 per cento della popolazione femminile dei pulp – sono forti, indipendenti, normalmente molto più intelligenti dei propri partners, e non mancano di possedere un sottile elemento di minaccia.
Ill Met in Lankhmar, forse il miglior singolo racconto del ciclo, dalle sfumature noir, sottolinea come siano le donne a fare gli uomini, e anche gli eroi. Vlana e Ivrian hanno un carattere tanto complesso quanto quello dei rispettivi amanti, e un certo piacere è intuibile nel controllo che le due donne sanno di possedere. La storia finirà malissimo, come in tutti i noir che si rispettino, ma proprio la crudeltà del racconto, insieme con l’eleganza dell’esecuzione, fanno di Ill Met in Lankhmar una pietra miliare nel panorama della letteratura fantastica.
Fra le storie memorabili del ciclo di Lankhmar, possiamo poi ricordare Lean Times in Lankhmar, avventura che vede i due eroi su fronti opposti, e che è una feroce satira delle religioni organizzate, il barocco Bazaar of the Bizarre, Unholy Grail, cupa avventura giovanile di un Mouser ancora idealista, The Sunken Land/Seven Black Priests, e The Knight and Knave of Swords (1988), uno degli ultimi episodi della serie, malinconica riflessione sulla vecchiaia. In Under the Thumbs of the Gods, Leiber utilizza en passant Alyx, l’avventuriera creata dalla scrittice di sf femminista Joanna Russ, presentandola come una delle molte ex fidanzate di Fafhrd; Russ ricambiò il complimento in I Thought She Was Afeard (Until She Stroke My Beard) – un titolo elisabettiano suggerito da Leiber – nella quale Alyx ricorda con nostalgia il flirt col barbaro Fafhrd, ma come molti lettori ne sbaglia il nome.
Racconti apocrifi hanno iniziato a comparire dopo la morte di Leiber, ma senza riuscire ad eguagliare il livello degli originali.
Anche se credo che rappresentino il meglio del genere, non credo che i libri del Mauser e Fafhrd siano il best seller di Leiber. Forse sono troppo adulti per il mercato a cui sono destinati (Michael Moorcock, 2003).
Il racconto lungo Ill Met in Lankhmar, uno dei primi nella cronologia interna della serie di Newhon/Lankhmar o Serie delle Spade, scritto solo nel 1970 (la serie venne infatti sviluppata fuori sequenza), ricevette un premio Hugo e un Nebula per la sua categoria, nel medesimo anno – una «doppietta» che Leiber aveva già realizzato precedentemente, con il racconto breve del 1967, Gonna Roll the Bones, comparso nella prima collezione Dangerous Visions di Harlan Ellison, e recentemente ristampato in una sontuosissima edizione illustrata di grande formato; nel racconto, il protagonista si gioca ai dadi la vita e l’anima, ma forse è tutta un’illusione ordita dalla moglie che ha lasciato a casa.
Il doppio premio si sarebbe ripetuto ancora una volta nel 1975, con la storia di universi paralleli Catch That Zeppelin,in cui Hitler è un tranquillo signore in pensione, in un mondo che non ha conosciuto l’orrore della guerra. Il racconto quasi speculare Belsen Express, vinse in quell’anno sia il premio H. P. Lovecraft che il premio August Derleth (un evento non privo di una certa ironia).
2.2 – Orrore Sovrannaturale
C’è un sussurro fuori dai muri
Una cosa sul tetto
Venuta dall’ombra, a un’ombra molto simile
Ma un’ombra coi denti e artigli ricurvi
Un’ombra che sussurra.
Fritz Leiber, Demons of the Upper Air, 1939
Nel 1947, alcune delle storie di Lankhmar entrarono a far parte dell’indispensabile, introvabile, leggendario Night’s Black Agents, il primo vero libro pubblicato da Fritz Leiber, edito dalla storica Arkham House di August Derleth. Nel volume sono raccolti alcuni dei lavori migliori del «giovane» Leiber, poi ampiamente antologizzati, e tutti facilmente riconducibili a una vena orrifica e post-lovecraftiana.
Nel piccolo capolavoro The Dreams of Albert Moreland, uno scacchista è obbligato ogni notte a giocarsi, su una scacchiera infinita e contro un avversario invisibile, qualcosa che va al di là della vita, e potrebbe riguardare l’intero genere umano. È stato fatto notare (da Mark McFadden, nel 2002) come Leiber descriva spesso negli stessi termini il gioco degli scacchi e l’alcoolismo; e Leiber, che soffrì di una dipendenza da entrambi, trasforma qui il gioco dei re in un delirio allucinatorio agghiacciante.
Diary in the Snow e A Piece of the Dark World descrivono due diversi ma ugualmente catastrofici tentativi di contattare l’altrove da parte di umani troppo curiosi e impreparati alle conseguenze della propria curiosità. Entrambe le storie evitano i falsi moraleggiamenti, e si concentrano sulla psicologia dei personaggi.
Smoke Ghost e The Girl with the Hungry Eyes aggiornano al xx secolo urbano e cinico, dominato dalla psicoanalisi e dai media, i miti dello spettro (il racconto venne lodato dal massmediologo Marshall McLuhan) e del vampiro. Nel 1995, The Girl with the Hungry Eyes venne adattato per lo schermo, purtroppo in una produzione di serie B.
L’horror di Leiber, per quanto costruito su un impianto «cosmico» di derivazione lovecraftiana, rimane strettamente personale; in questo Leiber riesce dove Lovecraft fallisce: nel mettere in scena personaggi tridimensionali, che suscitano la simpatia (o la riprovazione) del lettore, e che sono più di un semplice pretesto narrativo. Il linguaggio di Leiber è più plastico di quello usato da Lovecraft, e permette all’autore di sostituire, agli «orrori innominabili», fenomeni chiaramente descritti e profondamente inquietanti.
Avere paura, con Leiber, non è più solo una questione di fiducia.
Fritz Leiber fu uno dei grandi maestri dell’orrore sovrannaturale del ventesimo secolo, perché era convinto che la meraviglia fosse tanto importante quanto il terrore (Ramsey Campbell, 1996)
Con Conjure Wife, pubblicato su «Unknown» nel 1943, a puntate (come Weird Woman), e in volume nel 1953, Leiber esplicita finalmente la minaccia insita nei suoi personaggi femminili, e inaugura una carriera altrettanto brillante come autore di narrativa horror di ampio respiro. Il romanzo, che si svolge nell’ambito razionalista e infido di un campus universitario e parte dall’idea che TUTTE le donne siano streghe, mostra molti altri elementi che caratterizzano l’orrore di Leiber, dall’adattamento di temi classici del genere a un ambiente moderno, ai riferimenti alla psicologia junghiana. Un adattamento dell’originale comparso su «Unknown» venne filmato nel 1944, col titolo di Weird Woman, e interpretato da Lon Chaney jr. Nel 1962, la storia venne nuovamente adattata in un film, intitolato inopinatamente Burn, Witch, Burn (in effetti il titolo di un romanzo di Abraham Merritt) o, in versioni alternative, Night of the Eagle, con Peter Wyngarde. Un terzo adattamento venne filmato nel 1980, questa volta con il titolo di Witches’ Brew, con Lana Turner nella parte della vecchia strega.
Il breve You Are All Alone (1950, anche noto come The Sinful Ones, in italiano Scacco al tempo) scava più a fondo nell’ambiente urbano, descrivendo un mondo in cui solo pochi sono realmente vivi, mentre la maggioranza delle persone replica incessantemente e meccanicamente gesti privi di significato. La grande incognita è – se si tratta solo di un enorme meccanismo a orologeria, che senso può avere la vita umana?
L’aggiornamento al mondo moderno degli elementi del fantastico iniziato in Conjure Wife – nel quale fra gli elementi indispensabili per completare un incantesimo figura, ad esempio, un disco di grammofono suonato da una puntina vergine – arriva al suo pieno compimento in Our Lady of Darkness (1977), nel quale i misteriosi «paramentali», discendenti dello spettro di fumo della storia omonima, rimpiazzano i più prosaici fantasmi, e il male viene bandito da un’invocazione ai numi tutelari della modernità, della fisica e del materialismo dialettico.
Corona Heights Park
Il romanzo (uscito su rivista col titolo di The Pale Brown Thing) mostra la città moderna come ciclopica struttura funeraria, incorpora e aggiorna temi lovecraftiani (libri dannati, culti innominabili, esseri extradimensionali), e al contempo è un tributo all’autore, artista e poeta Clark Ashton Smith. Interpretato da uno scrittore beone e vedovo autoesiliatosi a San Francisco (proprio come Leiber dopo la morte di Jonquil, avvenuta nel 1969), il libro include una delle scene in assoluto più inquietanti della storia della letteratura fantastica (la prima ascesa del protagonista a Corona Heights, sinistro montrucchio nel cuore della città) – un vero gioiello interamente costruito sull’aspettativa del lettore, stimolata dalla prosa asciutta del romanzo. Il romanziere e saggista Lyon Sprague de Camp viene citato en passant in veste di esperto bibliografo e collezionista, e uno dei comprimari è molto probabilmente una versione “idealizzata” (e scollacciatissima) dello scrittore e critico Lin Carter.
Leiber aveva già sfruttato la propria esperienza di alcolista, insieme con i suoi trascorsi sul palcoscenico, per Four Ghosts in Hamlet(1965), storia di spettri alla M. R. James che non manca di offrire una minuscola razionalizzazione al lettore. Riferimenti etilici si trovano pure in The Thirteenth Step, un efficace horror breve, costruito interamente sul monologo di presentazione della protagonista alla sua prima (e ultima) riunione degli Alcolisti Anonimi.
The Black Gondolier (1964) ritorna ai temi lovecraftiani, con una storia ambientata nella decadente Venice Beach, California, dell’era post beat, e imperniata sull’eterna lotta fra l’uomo e il petrolio. Ancora fra i racconti notevoli, Black Wings, forse l’unico esempio di horror pienamente e deliberatamente junghiano mai scritto, e Midnight in the Mirror World, semplice e efficace variazione sul tema dello spettro vendicatore (o forse no).
2.3 – Fantascienza
Rifiutando di creare un modello facilmente riconoscibile della propria fantascienza per poi aderirvi, è possibile che abbia sacrificato parte della propria popolarità; in compenso, fu l’unico autore di fantascienza e fantasy della sua generazione che stesse ancora sviluppando e pubblicando il proprio materiale migliore nei tardi anni Settanta (M. J. Edwards e J. Clute, 1993)
Il catalogo della fantascienza leiberiana è fitto di satire taglienti.
Gather, Darkness!, uscito a puntate nel 1943 e poi nel 1950 in volume, gioca con la ribellione contro la dittatura, schierando un arsenale gotico di scienza riesumata dal passato pre-apocalittico contro i falsi miracoli di una religione artificiale. Il romanzo è al contempo una satira della fantascienza apocalittica molto popolare sulle riviste dell’epoca (si pensi al classico A Canticle for Leibowitz, di Walter Miller jr., o al Davy di Edgar Pangborn) e della passione dell’editor John Campbell per la nascente Scientologia di Ron Hubbard.
Il romanzo è pure al centro di una gustosa storiella tutta italiana – Arnoldo Mondadori in persona, a quanto pare, ordinò il ritiro e la distruzione di tutte le copie di «Urania» numero 35, che era proprio Gather, Darkness!, tradotto come L’era di Satana. Il tema – con preti ipocriti e corrotti che opprimono un popolo tenendolo nell’ignoranza, avversati da scienziati mascherati da satanisti – era a quanto pare troppo «scabroso» per l’Italietta del 1954 (che fu un anno strano, per il fantastico, come abbiamo già detto in passato, più volte).
È bello comunque vedere che già cinquant’anni or sono c’era chi vigilava sulla salute spirituale dei lettori di fantascienza di casa nostra. Chissà quali oscure turpitudini morali avrebbero devastato il paese, se il romanzo di Leiber avesse visto la luce nel 1954 anziché nel 1965 (quando venne pubblicato su «Galassia» nella traduzione creativa di Ugo Malaguti).
Il racconto Coming Attraction descrive un’America futura sadica e affamata di intrattenimento violento, vista attraverso gli occhi di un visitatore europeo. Il tema verrà in parte ripreso, con toni apertamente più farseschi, in The Green Millenium (1953), nel quale un mondo sovrappopolato è invaso da simpatici e benevoli alieni che sembrano gatti verdi. In The Night He Cried, un altro alieno benevolo, questa volta una creatura ameboide, scende sulla Terra e assume forma femminile per aiutare il giallista Mickey Spillane a superare i suoi problemi con le donne. In Poor Superman, Leiber torna ad attaccare Hubbard e J. W. Campbell, rispettivamente creatore e divulgatore della grande truffa della Dianetica.
Pubblicato nel 1969, A Spectre is Haunting Texas è una colossale satira non solo degli atteggiamenti americani dell’epoca, ma anche di parecchia fantascienza sociologica (all’epoca il nuovo Santo Graal del fantastico) e new wave, mentre il mondo dell’editoria è selvaggiamente irriso in The Silver Eggheads (del 1962), in cui i romanzi sono fatti a macchina (da «mulini editoriali»), gli scrittori devono limitarsi a fare relazioni pubbliche e foto allusive per i giornali scandalistici, e l’unica letteratura «alla vecchia maniera» la fanno i robot (disponibili in versione maschile o femminile). Ma un editore ha un asso nella manica: un magazzino pieno di cervelli in scatola appartenuti a scrittori del passato (incluso un ennesimo alter ego di Leiber, chiamato «Mezza Pinta» per le scarse dimensioni cerebrali).
Le spiegazioni non sono mai la parte più interessante della scienza (Fritz Leiber).
Anche i critici più pietosi e i fan più accaniti ammettono di solito che il trittico Green Millenium, Silver Eggheads e A Spectre is Haunting Texas rappresenti l’elemento più debole della narrativa fantastica di Fritz Leiber.
Forse perché la trama è a tal punto dominata dall’elemento satirico e umoristico che la fantascienza pare quasi un pretesto, una pallida ombra sepolta sotto una montagna di risate, parecchie delle quali a denti stretti.
La tecnologia è marginale, la sociologia viene sbeffeggiata per la presunzione che dimostra nel voler predire e misurare le reazioni umane.
In tutti e tre i romanzi compare almeno un alter ego dell’autore (scrittore nei primi due, attore nel terzo), in tutti e tre i romanzi traspare un’ossessione per il sesso che, senza mai scivolare in certe farneticazioni da vecchio sporcaccione misogino che il povero Robert Heinlein ha ammannito ai fan negli ultimi vent’anni della propria carriera, restano abbastanza imbarazzanti per il lettore moderno.
Chiaramente, parlare di sesso fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta doveva creare imbarazzo. Alcune scene restano per sempre impresse nella memoria: la coppia di robot colta ad accoppiarsi fra i cespugli del parco, in un groviglio di cavi d’alimentazione, spine e prese (in Eggheads), probabilmente tolse il sonno a Isaac Asimov per qualche settimana.
Ciò che forse sfugge, è che il bersaglio di Leiber, in questi passaggi, è l’atteggiamento dell’America riguardo a certe cose, tra il bacchettone e il voyeur negli anni di Peyton Place, tra l’impacciato progressismo liberale la bacchettonaggine dei conservatori nei tardi anni Sessanta (con esempi quali il menage-àa-troix risolutore nel finale di Texas).
L’imbarazzo non è accidentale.
È decisamente voluto.
Autore coltissimo, Leiber scrive sia per gli appassionati di fantascienza (dando loro originali rivisitazioni di molti luoghi comuni del genere) sia per i lettori di mainstream, che mira a sorprendere e a scandalizzare, sfruttando in ogni modo le prerogative del genere fantastico.
Un lago può riempirsi di infusoria tanto in fretta quanto una pozzanghera. Un continente può riempirsi di conigli quasi tanto in fretta quanto un solo campo. E la vita intelligente può spandersi fino ai limiti dell’universo – quei limiti che sono ovunque – tanto in fretta quanto matura su un singolo pianeta.
I pianeti di un trilione di soli possono riempirsi di costruttori di navi spaziali tanto in fretta quanto uno solo. Dieci milioni di trilioni di galassie possono venire infettate dal prurito del pensiero – quella gran pandemia – quanto una sola.
La vita intelligente si spande più veloce della peste. E la scienza cresce più incontrollabile di un cancro (Fritz Leiber, The Wanderer, 1964).
Ma Leiber non fu solo un satiro fantascientifico – le sue storie erano solidamente costruite e approfonditamente ricercate (quand’era il caso).
The Wanderer (Novilunio in Italia, 1964, vincitore di un premio Hugo), all’epoca il più lungo romanzo di fantascienza mai scritto, costruito sulla premessa che l’ingresso nell’orbita terrestre di una enorme astronave causi un effetto marea sufficiente a sbriciolare la Luna e a causare mareggiate anomale su tutta la Terra, è un ampio e articolato romanzo catastrofico, con un cast numeroso e variato di personaggi e un solido background scientifico, nonostante la nostalgica strizzata d’occhio alla superscienza e alla space opera di Edmond Hamilton ed E. E. Doc Smith. Torna in scena un’aliena felina (infinitamente più sexy dei gatti verdi del 1953) e non manca una seria e credibile discussione del valore del concetto di libertà in un universo infinito. Il fatto che nessuno abbia pensato di farne un film o una miniserie dimostra la miopia degli sceneggiatori hollywoodiani.
Altro esempio storico di hard science fiction catastrofica leiberiana è il racconto A Pail of Air (1952), nel quale la Terra è stata strappata alla sua orbita da un ennesimo pianeta vagante, e l’atmosfera è nevicata, frazionandosi in strati di ossigeno, anidridi, azoto. Per respirare, tocca mandar fuori qualcuno a prendere un secchio d’aria. Dura, la vita del sopravvissuto.
Nel 1954, la storia venne pure adattata per la serie americana X Minus 1, sorta di Twilight Zone radiofonica che per alcuni anni offrì drammatizzazioni molto fedeli dei migliori racconti pubblicati da «Galaxy», praticamente un catalogo generale della fantascienza americana; X Minus 1 sceneggiò e trasmise altre due storie di Leiber, The Moon is Green e Appointment in Tomorrow.
E poi c’è la serie detta della Guerra del Cambio – The Change War – che fruttò a Leiber una citazione quale autore di riferimento, per le storie di viaggi nel tempo, da parte di Arthr C. Clarke nel suo Profiles of the Future (1973).
L’idea è semplice: chiunque abbia accesso a una macchina del tempo finirà col cedere alla tentazione di alterare il passato – per quanto il tempo resista alle alterazioni (si veda a proposito il racconto Try and Change the Past). Ciò porta alla lunga a un delinearsi di fazioni, a una perdita di univocità storica ma anche, paradossalmente, al massimo della libertà: la concretizzazione di tutte le infinite possibilità.
Nella serie, avviata nel 1958 dopo il periodo di quattro anni durante i quali Leiber lottò contro il proprio alcolismo, la tecnologia di viaggio nel tempo (mai spiegata in dettaglio) porta a una guerra fra due fazioni, i Ragni e i Serpenti, anonime e intercambiabili, e in ultima analisi non dissimili dai Grandi Antichi di Lovecraft per motivi, metodi e considerazione per l’umanità. La guerra vienecombattuta o intervenendo e modificando effettivi conflitti in varie epoche storiche, o infiltrando agenti provocatori in epoche critiche. La serie comprende storie brevi, novelle e un solo romanzo, The Big Time (1958, vincitore di un Premio Hugo).
The Big Time stabilisce le regole del gioco, in un ambiente teatrale, e nel pieno rispetto delle unità aristoteliche di Tempo, Luogo e Azione. Nascosta nella trama c’è una tagliente riflessione sul significato dello scontro per chi ne è coinvolto e per chi ne rimane ai margini – nella Guerra del Cambio, i conflitti umani sono svuotati di ogni significato, e antichi nemici combattono fianco a fianco per servire padroni gli scopi dei quali non riescono a immaginare.
Ed è anche un giallo classico su un delitto in una camera chiusa.
Altri titoli, tutti originariamente pubblicati su «Galaxy», includono No Great Magic, A Deskfull of Girls e The Oldest Soldier, quest’ultimo un ennesimo tour de force narrativo che senza discostarsi da un’ambientazione quotidiana, afferra il lettore e lo terrorizza senza mostrare assolutamente nulla.
Leiber aveva d’altra parte già pubblicato un romanzo su viaggi nel tempo e universi paralleli nel 1946: Destiny Times Three, un lavoro ambizioso che utilizza la bomba come deus ex machinae i miti nordici come sfondo. La storia venne purtroppo giudicata troppo lunga dall’editor, e Leiber fu costretto a tagliare tutti i personaggi femminili (!) per ridurla alla lunghezza desiderata – nessuna copia dell’originale intonso sopravvive.
Fin qui, i fatti.
La vita e le opere di Fritz Leiber, che fu il più grande, e lo rimarrà ancora per molto.
Per ciò che riguarda la leggenda, i miracoli, i figli e i nipoti reali e virtuali, i film, le opere teatrali e i dischi, Tarzan e Shakespeare, per ciò che attiene principalmente al grande corpus della mitologia liberiana, l’editor parsimonioso e inopportunamente democratico non mi concede spazio, per non privarne altri autori. Per i miracoli, mi dice, ci stiamo organizzando.
Rimandiamo perciò al prossimo numero.
Perché Fritz Leiber fu così grande, che un solo numero di LN non riesce a contenerlo.
Non potete dire che non vi avessi avvisati….